Kapò - Gillo Pontecorvo

Kapò - Gillo Pontecorvo - 1960 - 116'

Kapò è di quei film che hanno segnato, visto o non visto, un passaggio nella storia del cinema. La trama è quella che trovate su wikipedia, anzi no, stavolta Wikipedia secondo me dà già un'interpretazione critica nella trama!
E allora, per la prima volta in questo blog, dove di solito della trama ne facciamo molto volentieri a meno, ma aggiungerei che ne facciamo a meno volentieri anche nella vita della trama; per la prima volta la trama provo a raccontarvela io. Se non avete visto il film passate direttamente al paragrafo dopo la prima foto.
Edith, giovane ragazza ebrea, vede da lontano i suoi genitori caricati su un camion dai nazisti. Invece di prendere un fugone, decide di salire con loro. Arrivati al campo, capisce di essere destinata, insieme agli altri bambini e agli anziani, direttamente alle camere a gas. Con l'aiuto di un prigioniero politico, un compagno medico intelligentissimo, assume l'identità di Nicole, ladra. La nuova identità le salva la vita, mentre vede i genitori avviarsi con gli altri prigionieri anziani alla camera a gas.
Al campo la novella Nicole viene accolta bene dalle compagne e soprattutto ha l'opportunità di stringere amicizia con un'altra prigioniera politica e un altro paio di prigioniere in gamba, dotate di coscienza civile e degli strumenti culturali per sopravvivere alle condizioni di vita disastrose del campo. Non sfrutta questa possibilità, perché regge troppo poco agli sforzi del lavoro e alla fame. In seguito a un incidente, provocato essenzialmente dalla mancanza di lucidità che gli sforzi e la fame le hanno causato, non è più in condizioni di lavorare come le altre. Un'ispezione la condannerebbe a morte sicura. Decide, pur di sopravvivere, di prostituirsi. Inizia il declino morale di Nicolle, che gode di condizioni sempre più favorevoli e finisce per approfittare dell'offerta di una compagna legata ai nazisti che le propone un posto vacante da kapò. Nel ruolo di kapò, Nicolle, persa ormai ogni speranza morale per sé stessa, si fa riconoscere per cattiveria.
E poi arrivano i sovietici, tutto il pubblico esulta. Sta per arrivare l'Armata Rossa. Prima di farsi sorprendere i tedeschi organizzano la carneficina finale. Nicolle, che nel frattempo si è innamorata, ricambiata, di un prigioniero sovietico, organizza insieme a loro una fuga di massa strategicamente folle. Per far sì che la fuga riesca, bisogna staccare la corrente che alimenta il filo spinato. Nicolle è incaricata di questo compito perché come kapò è l'unica che può avvicinarsi alla centralina. Non pensano che il gesto prevede l'automatica dipartita dell'eroina. Sascha, il prigioniero sovietico innamorato di Nicolle, all'ultimo momento le svela che è destinata a morire. Nicolle si sacrifica lo stesso, e in punto di morte si fa strappare i simboli nazisti dalla giubba che porta, chiede perdono a Dio, al pubblico e a sé stessa, infine muore ritrovando le sue origini ebraiche, comunicando agli spettatori che sono stati presi tutti in giro, ebrei, tedeschi, partigiani, Armata Rossa. I prigionieri sopravvissuti al primitivo piano ideato, effettivamente fuggono, tranne Sascha che resta inebetito a vagare nel campo ormai pieno solo di cadaveri.



Premessa n.1 - Pontecorvo è un compagno serissimo, che ha fatto il partigiano davvero, che si è sempre documentato moltissimo prima di girare e che ha una storia in grado di difenderlo praticamente da tutte le accuse. Qui c'è una breve scheda che ripercorre alcuni passaggi della sua vita e della sua carriera.
Premessa n.2 - Questo film oltre che ambiguo, è piuttosto brutto. Pontecorvo non ha diretto tanti film, ma La battaglia di Algeri, tanto per dire, è di un altro pianeta.
Premessa n.3 - Il problema, continuo a sostenere, è la struttura produttiva. Poi possiamo continuare a discutere e a scannarci sulle carrelate (e sulla musica che le accompagna), ed è giusto così. Ma il problema è la struttura produttiva e il ciclo che comporta.


Pontecorvo, e in questo caso Wikipedia conferma (il link è sempre lo stesso), avrebbe voluto girare un film più sporco, più realistico; la struttura narrativa melodrammatica sarebbe rimasta, ma supportata da una fotografia e da uno stile più vicino alle intenzioni del regista. I film spesso sono fatti di compromessi, succede, non è il caso di scandalizzarsi. Detto questo, e separando l'opera dall'autore, che soprattutto in questo caso, non merita il disprezzo che Rivette gli augura, il film è pieno di cadute di stile, di inesattezze, di romanticismi assolutamente fuori luogo. Il problema principale non è la famosa carrellata, orribile, ma che nel 2012 passa veramente inosservata (questo dà ragione a Rivette? Almeno in parte probabilmente sì, ma non è una gran vittoria ); il problema è il film. Se proprio vogliamo individuare un momento pessimo, è il riscatto di Nicolle. Il giudizio umano lo lasciamo da parte, scegliere di sopravvivere in qualsiasi modo in un campo di concentramento rientra tra le possibilità umane, e va bene così. Il giudizio storico però non può prevedere riscatti, eroismi finali, ultime parole. La Storia ci ha detto che Nicolle era dalla parte sbagliata. Non c'è possibilità di redenzione storica, né tantomeno politica. Lo spettatore è dalla sua parte quando si prostituisce per fame, soffre quando dà l'ultima spinta al suicidio di Therese. Nicolle è la parte di noi che cede, e nessuno è in grado di condannare sé stesso. Lo spettatore l'abbandona quando la sua psicologia segue strade incomprensibili. E la redenzione che ci viene proposta, in definitiva è incredibile.
Tutto il film in ogni caso è discutibile; a una prima parte che pur con qualche debolezza, descrive con durezza il campo, segue una seconda parte completamente sballata, da cinema italiano anteguerra, che non t'aspetti da Pontecorvo, piena di errori, di inquadrature formali, addirittura con una scena d'amore improbabile, che grida vendetta. La critica comunista non l'ha presa benissimo e pur riconoscendo le buone intenzioni di Pontecorvo, ha bocciato il film. Sul blog elcineitaliano viene riportata la critica di Guido Aristarco apparsa sulla rivista Cinema Nuovo, che può rendere l'idea della critica marxista italiana. Questo blog è fedele alla linea. Scherzi a parte, la posizione di Aristarco sembra oggi la più lucida e onesta possibile nei confronti di un film ambizioso e fallito.


Su Kapò esiste una questione critica, aperta da Rivette e mai conclusa. Su questo blog (talkischeap) ho trovato la trascrizione dell'articolo di Rivette. Il Corsera in archivio ha invece la contro critica di Kezich, apparsa appunto sul Corriere della Sera trentacinque anni dopo, a cercare di chiudere la questione, senza peraltro riuscirci.
Kezich scrive nel 1995, nel 2012 l'accusa di Rivette, che si sia d'accordo o meno, fonda ancora l'analisi popolare sul film. Il dvd in copertina, giusto per rendere l'idea, ha esattamente il fotogramma finale della carrellata famosa. Vuol dire che c'è stato un momento in cui la critica ha potuto creare dei momenti di sapere collettivo, in cui i film venivano fatti con coraggio e affrontavano il giudizio del pubblico e degli intellettuali come qualsiasi altra opera d'arte. La Nouvelle Vague, nei suoi giudizi critici, anche in quelli ingiusti, ha portato innanzitutto il coraggio; questo atteggiamento verso la vita si ritrova anche nei film migliori. Lo scontro tra un critico particolarmente esigente, coraggioso, morale, e un regista politico, altrettanto coraggioso, altrettanto morale ha regalato al mondo uno scambio dialettico che dura dal 1961.


Commenti

Post più popolari