Another year - Mike Leigh

Another year - Mike Leigh - 2010 - 129'

Un film durissimo nascosto sotto due ore di dialoghi fitti e sguardi asciuttissimi. Certo, non è una sorpresa per Mike Leigh, ma in ogni caso fa sempre un certo effetto vedere una descrizione così esatta della vita, con i tempi giusti, con i colpi di scena che in fondo non cambiano nulla.
Leigh, che oltretutto adesso ha quasi settant'anni, e se non l'avessi letto non ci crederei, continua ad esplorare  la vita degli inglesi, prevalentemente di Londra, di solito medio borghesi. In questo caso i protagonisti del film sono riusciti a costruirsi una situazione di benessere da medio alta borghesia. I loro parenti e amici si direbbe un po' meno. E se da un lato davvero siamo di fronte a una descrizione della vita di un gruppo di persone della medio borghesia inglese, dall'altro la chiave del film è proprio in questa differenza; ovvero tra chi è riuscito a costruirsi, non senza fortuna, una stabilità piacevole e chi invece è finito a rincorrere illusioni sempre più irrealizzabili.


Leigh non si propone di inventare nulla, è sempre legato alla tradizione letteraria e teatrale inglese e il suo film è quello che si aspetta di andare a vedere. Come mi capita spesso l'ho recuperato in dvd, e per quanto sia favorevole alla visione casalinga, ovvero per quanto sia favorevole alla visione comunque, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi intervallo spaziotemporale, evidentemente la visione al cinema ha un grado di coinvolgimento maggiore. In un film del genere, dove il coinvolgimento emotivo è essenziale, e dove la parte d'introspezione dello spettatore viene chiamata in causa di continuo, la visione casalinga pregiudica leggermente il godimento perché nei momenti più dolorosi del film la tentazione di prendersi una pausa è molto forte. Invece, nonostante sembri non succedere nulla di rilevante, la struttura del film è molto densa, non c'è un solo dialogo casuale, e vengono messe in gioco la visione della vita e dei rapporti sociali con una forza dirompente.


Cinema classico insomma, senza nessuna volontà di rivoluzione formale, anzi profondamente teatrale; eppure capace di portare avanti una storia apparentemente banale per poco più di due ore, provocando nello spettatore ben disposto enorme empatia. Fosse stato asiatico la critica avrebbe gridato al miracolo. Gli stessi risultati, le stesse profondità, raggiunti con gli strumenti della cultura inglese classica non hanno generato lo stesso entusiasmo. Ma è innegabile che si tratta dell'opera di un autore ormai maturo, che procede da decenni a rappresentare la borghesia inglese con una profondità di sguardo e un'onestà raramente rintracciabile nel cinema contemporaneo occidentale. 
Quasi tutti hanno notato l'ambiguità del senso dell'ospitalità e della cortesia mostrata dalla coppia di protagonisti; ma questa è la realtà. A me sembra strano piuttosto che ci si meravigli di desiderare una realtà diversa nei film. Questo dovrebbe indurre a fare delle riflessioni sulla natura dei nostri desideri in materia di intrattenimento.


Tecnicamente è il solito, duro, per niente compiaciuto, film di Leigh. Ho già accennato alla forte componente teatrale di questo tipo di film. Il dibattito sulla possibilità di portare il teatro al cinema è aperto da sempre, dai Lumiere in avanti. Su questo blog ho provveduto a stroncare Carnage, la porcheria borghese di un grande regista. In quel caso il teatro è apparso al cinema nel modo peggiore possibile, anche se va sottolineato che si trattava in partenza di teatro pessimo, nato già morto. Il cinema di Leigh recupera e rende cinematografica una tradizione teatrale viva, felice, dolorosa, appassionante. Girare in una cucina o in un giardino poi fa poca differenza.


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