L'indiscreto fascino del peccato - Pedro Almodovar

L'indiscreto fascino del peccato - Pedro Almodovar - 1983 - 114'

La prima cosa da dire è che il film è stato massacrato dalla distribuzione italiana. L'edizione RaroVideo, come al solito, cerca di fare il possibile per porre rimedio allo scempio, ma scopro da questo articolo su CulturaGay.it che anche nel dvd RaroVideo manca una scena. Ad ogni modo, il film è impossibile vederlo doppiato, perde completamente di senso e va visto in spagnolo. Impostato il dvd sullo spagnolo, ché altrimenti siamo stati costretti a farlo ripartire alla prima fase del film in cui niente sembrava avere più senso, ci si può divertire con un melodramma tostissimo nascosto sotto decine di battute folgoranti e di situazioni oltre la citazione surreale. Si ride per quasi tutto il film, pur assistendo in fondo a un film sui rapporti di potere e sulle libertà che derivano dall'assenza di potere o dal mancato riconoscimento del potere.


Il film, già dalle prime scene, racconta dei vuoti, un primo vuoto affettivo, sentimentale - la morte per una partita di droga tagliata male del compagno della protagonista - e un primo vuoto di potere - il marito della marchesa è morto e con la sua morte decadono istantaneamente e improvvisamente tutti gli impegni formali e di mantenimento del sistema -. I due piani, come sempre in Almodovar, sono fortemente sovrapposti; quindi il marchese in realtà finanzia il convento di suore per motivi affettivo/psichiatrici (del marchese, si intende), e la morte del compagno di Yolanda riporta in superficie non solo e non tanto la questione droga, ma la questione, più profonda e analizzata lungo tutto il film, di come la droga si inserisca nel tessuto sociale, di come il sistema cerchi di combatterla e di come invece la comunità libera da vincoli di potere la usi per scopi ludici, di effettiva dipendenza o come sostentamento. Almodovar sul tema evita di dare un giudizio netto, confermandosi come autore moderno. La questione, quindi non il problema, ma la questione resta al centro del film, intrecciata agli altri temi fondanti.
Di Almodovar e dello stile che si è, che ha costruito ormai è stato detto tutto, non vale la pena ripetersi. Due parole: si nota ancora una certa incertezza nei movimenti di macchina, difficili da definire invisibili. La ricerca sui colori è già a un livello superiore alla media dei film in circolazione, ma Almodovar ci farà vedere colori ancora più desaturati e profondi. La sua evidentemente non è l'unica strada percorribile, ma è una strada percorsa con costanza, dedizione e integrità. I colori di Almodovar seguono da trent'anni lo stesso percorso ideale intrecciandolo con il percorso storico e politico del tempo contemporaneo.


Parte della critica ha trovato troppo superficiali alcuni interventi di sceneggiatura, riferendosi ai momenti apparentemente più surreali: la tigre, l'apparizione di Tarzan, le circostanze della morte della figlia della marchesa, il volto di Yolanda impressionato sull'asciugamano (credo fosse un asciugamano, ma potrei sbagliarmi), il fachirismo di una delle suore. In realtà non siamo più di fronte alla sovversione surreale, ma alla presa di coscienza postmoderna. Almodovar comincia a mostrarci una realtà che ha già assimilato i suoi cliché e il ribaltamento dei suoi cliché. Non c'è rivoluzione nella descrizione dell'uso di droga da parte di una suora, né in quella della sua omosessualità; piuttosto c'è la descrizione della realtà come la vedono gli occhi di un intellettuale di Madrid da poco uscito da un vuoto di potere e da un senso di liberazione enormi. Restano indiscutibilmente i divertissement e il gusto del kitsch tipici soprattutto delle prime fasi della filmografia di Almodovar, ma anche questi sono inseriti in un contesto filmico che poggia quasi interamente sulla dicotomia potere/assenza di potere, e in parallelo su quella autorità/rifiuto dell'autorità. Il percorso finale del film altro non mostra che il tentativo di riorganizzazione di un potere coercitivo, certo diverso dall'oppressione cattolico, franchista, monarchica, ma ugualmente destinato al fallimento umano. Almodovar, e poi continuerà a farlo per tutta la carriera, comincia a informarci, senza mai allontanarsi dall'analogia politica, della sua visione dei rapporti di potere inseriti in un contesto sentimentale e melodrammatico. La madre superiora è destinata a vedere frustrate le proprie ambizioni sentimentali ed è altresì destinata a vedersi "tradita" proprio dalle persone a lei più vicine (penso alla consegna della lettera alla marchesa, soprattutto) perché costruisce e concepisce i rapporti umani e sentimentali in ragione della coercizione e del potere.
In un film che rifiuta tutte le istituzioni, dalla famiglia - il caso ancora della marchesa, ma soprattutto quello di Suor Topa - alla Chiesa, dalla polizia allo Stato, quello che resta sono i rapporti umani costruiti sulla reciproca fiducia, quelli sì in grado di trovare equilibri oltre le istituzioni e oltre il potere.


Qui c'è un breve intervento in cui Almodovar spiega alcune delle ragioni che l'hanno spinto a girare Entre tinieblas. Come mai il comune di Reggio Emilia abbia una sezione del proprio sito dedicata al cinema e con tale ricchezza di informazioni resta un piacevole mistero.

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