La felicità porta fortuna - Mike Leigh

La felicità porta fortuna - Mike Leigh - 2008 - 118'

Un piccolo caso cinematografico alla sua uscita, nel 2008; una sorpresa piacevole anche da Mike Leigh, che veniva da un film durissimo come Vera Drake. Leigh ha sempre inserito della commedia, anche nei suoi film più sporchi. In questo caso i toni sono più luminosi, i colori più accesi, l'atmosfera, tranne un paio di sequenze, molto più rilassata. Quello che in altri film era nascosto dietro trame più dolorose o più ciniche, dietro colori più notturni, e che invece in questo suo penultimo film si nota particolarmente è l'importanza e quindi la forza che Leigh attribuisce alla scrittura. Un film, anche se solo apparentemente, più leggero e meno politico dei precedenti chiarisce che il suo è innanzitutto un cinema di scrittura e di personaggi. L'attenzione ai personaggi era già evidente e anche questa Poppy non fa eccezione. Si ha l'impressione che il film non sia diretto da altri che da loro. Anche nei casi in cui i personaggi principali siano una coppia o un piccolo gruppo, sono sempre loro a dettare i tempi del film, a determinare le svolte narrative e tecniche. In questa scelta si vede probabilmente il lavoro di anni alla televisione inglese e forse, azzardo, anche una certa visione politica del cinema narrativo. Se proprio cinema narrativo dev'essere, almeno che abbia i tempi e i modi delle persone delle città inglesi che vedo tutti i giorni, che tutto sia realistico, spremuto, concentrato e comprensibile a chiunque abbia voglia di capire. Sembra che Leigh abbia pensato questo quando ha deciso l'approccio al cinema. Non c'è un solo suo film, tra quelli che ho visto negli anni, che non sia a volte addirittura didascalico, tanta la voglia di essere accessibile. Sembrerebbe una scelta verso il basso, ma invece riesce a mantenere un livello tecnico di narrazione molto elevato. E qui si ritorna alla centralità della scrittura.


La scrittura di Leigh è chiara, accessibile; i suoi film sono comprensibilissimi, lineari, non richiedono nessuno sforzo di interpretazione narrativa. La struttura del racconto è quasi televisiva. Eppure è un cinema anti - spettacolare. Spesso nei suoi film non succede nulla di rilevante. Anche in questo caso, fatta eccezione per la lite con l'istruttore di guida, non si parla d'altro che di rapporti umani, e di come si sceglie di viverli. Lo sforzo chiesto allo spettatore è allora tutto rivolto all'empatia che instaura con i personaggi, della cui centralità accennavo prima. Quando si parla di porzioni di vita raccontate è proprio la definizione che si potrebbe dare a molti dei film di Leigh. Poppy insegna in una scuola, cerca di prendere la patente, inizia una relazione, ha rapporti più o meno buoni con le persone, frequenta alcuni ambienti della città. Tutto potrebbe succedere a 30 anni, a 40, a 18. Nessuna di queste sottotrame si risolve in uno sviluppo conclusivo. E del resto ad alcune sottotrame non corrisponde una trama principale. L'attenzione è ai personaggi, agli ambienti, ai dialoghi, ai costumi, alle situazioni. Eppure questa struttura narrativa composta di nulla funziona perfettamente; ci si immedesima con alcuni personaggi, se capita di avere qualcosa in comune con loro, o più probabilmente si riflette e ci si ricorda di alcune situazioni vissute e gestite in modo simile o del tutto diversamente. Forse è proprio questo l'obiettivo di Leigh; farci "rivalutare" le nostre esistenze in un riassunto di un pezzo di vita simile alle nostre, preso a caso in un momento temporale qualsiasi, quindi con i problemi e le questioni aperte di una vita normale, che non si esauriscono mai e si ripetono sempre. 


Ken Loach, a cui si pensa spesso quando si vedono i film di Leigh, perché i personaggi provengono quasi sempre dalle stesse città e dagli stessi ambienti,  è molto più romantico, altrettanto politico ma più diretto. Non mi ricordo, nonostante qualche finale aperto, un film di Loach senza una trama definita nei dettagli, perfino classica. La struttura narrativa di Leigh invece è più fluida; in questo film ci sarebbe spazio per altre infinite sottotrame, ché non se ne conclude nessuna, e allo stesso tempo se ne togliessimo una nessuno ne risentirebbe. Non ci fosse il personaggio della sorella  borghese di Poppy, il film andrebbe avanti ugualmente. Se fosse stato sviluppato più in profondità, probabilmente ce ne saremmo incuriositi. Mi sembra un tipo di scrittura molto moderna, in cui ai dialoghi girano davvero intorno gli altri elementi del film. I costumi sono importanti perché definiscono davvero quasi tutti i personaggi. La scelta dei set porta altri significati. E' un film solo apparentemente semplice tecnicamente. La fotografia è al limite tra il cinema e la scorrevolezza televisiva, ma senza mai scadere nelle illuminazioni da fiction. 
E' stata particolarmente elogiata la protagonista, e di certo è molto brava, ma la maggior parte degli altri attori non è da meno. E l'istruttore di guida merita la visione quasi da solo per quanto sa rendere la paranoia. 

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