Legami - Pedro Almodovar
Legami - Pedro Almodovar - 1990 - 111'
Tutti i registi che possiamo considerare tali, si propongono in fondo di raccontare la vita delle persone, quello che vedono e che gli sembra giusto raccontare e filmare. Ci sono quelli, come Kurosawa o Kubrick, per dire i primi due nomi che mi vengono in mente, che cercano di farlo a partire dall'universale. Se in situazioni universali, riesci a scendere molto in profondità, la vita di qualsiasi spettatore si sente parte del film, partecipa a tutti i cambi d'immagine. Poi ci sono invece i registi che non possono partire che dalla propria vita, dalla propria esperienza quotidiana; e dal particolare cercano di dilatare la visione per arrivare a parlare degli altri. È il caso per esempio di Fellini, di Truffaut, anche di Godard (Questo aprirebbe un discorso sul fatto che si raccontano, si descrivono moltissimo le persone, le emozioni, e pochissimo, quasi nulla, gli oggetti, i luoghi, le dinamiche sociali prese in loro stesse). Almodovar è uno di quelli che è partito parlando di sé, della sua vita, dei quartieri che frequentava e dei colori che vedeva intorno; mi sembra tra i registi che più di altri hanno reso visibile il proprio percorso di vita, anche adesso che sembra fare film più impersonali. La verità è che non è lo stesso Almodovar di trent'anni fa, vive ambienti diversi, forse meno divertenti. L'improbabilità di quasi tutti i personaggi dei primi film, la rincorsa delle situazioni; tutto sembra assolutamente normale e non ha bisogno di nessuna giustificazione perché è successo davvero. Quel gruppo di persone faceva realmente quelle cose e pensava così. Questo è almeno quello che vedo dai film, che raccontano quel modo di vivere. Non ha senso distinguere tra vero, verosimile e sceneggiatura quando l'atteggiamento di queste tre scritture è lo stesso.
Tutti i registi che possiamo considerare tali, si propongono in fondo di raccontare la vita delle persone, quello che vedono e che gli sembra giusto raccontare e filmare. Ci sono quelli, come Kurosawa o Kubrick, per dire i primi due nomi che mi vengono in mente, che cercano di farlo a partire dall'universale. Se in situazioni universali, riesci a scendere molto in profondità, la vita di qualsiasi spettatore si sente parte del film, partecipa a tutti i cambi d'immagine. Poi ci sono invece i registi che non possono partire che dalla propria vita, dalla propria esperienza quotidiana; e dal particolare cercano di dilatare la visione per arrivare a parlare degli altri. È il caso per esempio di Fellini, di Truffaut, anche di Godard (Questo aprirebbe un discorso sul fatto che si raccontano, si descrivono moltissimo le persone, le emozioni, e pochissimo, quasi nulla, gli oggetti, i luoghi, le dinamiche sociali prese in loro stesse). Almodovar è uno di quelli che è partito parlando di sé, della sua vita, dei quartieri che frequentava e dei colori che vedeva intorno; mi sembra tra i registi che più di altri hanno reso visibile il proprio percorso di vita, anche adesso che sembra fare film più impersonali. La verità è che non è lo stesso Almodovar di trent'anni fa, vive ambienti diversi, forse meno divertenti. L'improbabilità di quasi tutti i personaggi dei primi film, la rincorsa delle situazioni; tutto sembra assolutamente normale e non ha bisogno di nessuna giustificazione perché è successo davvero. Quel gruppo di persone faceva realmente quelle cose e pensava così. Questo è almeno quello che vedo dai film, che raccontano quel modo di vivere. Non ha senso distinguere tra vero, verosimile e sceneggiatura quando l'atteggiamento di queste tre scritture è lo stesso.
Legami viene dopo Donne sull'orlo di una crisi di nervi, il film che anche per chi lo crede sopravvalutato, è comunque entrato a far parte del linguaggio comune. Dieci anni dopo, Donne sull'orlo di una crisi di nervi è la risposta europea ai Blues Brothers, con un inseguimento che è quasi lo stesso, pur avendo un altro stile, perché ha la stessa funzione esplosiva. Dopo il successo di Donne sull'orlo di una crisi di nervi, soprattutto dopo aver chiuso una fase artistica, Legami prova a rimanere fedele allo stesso atteggiamento, ma da una prospettiva diversa. Ci sono ancora gli interventi pop, ci sono le piazzette notturne e le persone che le frequentano. C'è soprattutto ancora la stessa luce di Donne sull'orlo di una crisi di nervi, ci sono gli stessi dialoghi rapidi; quindi fotografia e sceneggiatura non tagliano col passato. L'atmosfera di normale e accettata, vitale confusione è la stessa. Non è più al centro però; forse per la prima volta i personaggi sono il fulcro su cui si regge il film. E di tutti i personaggi, compreso quelli minori, sui quali come al solito con Almodovar si potrebbe/dovrebbe aprire un capitolo a parte, quello con le ambizioni più integrate è proprio il rapitore Banderas, il romantico, tenace, pazzo, ladro rapitore che vuole un lavoro, una famiglia, dei figli; che ha trovato un equilibrio da tempo, accettando il mondo così com'è e volendolo cambiare allo stesso tempo. Per il resto il film scorre almodovariamente, tra inserti di pubblicità pop, un personaggio, il regista in carrozzella, abbastanza memorabile soprattutto quando è triste, cioè quasi sempre. C'è una canzone col coro e ci sono i colori della libertà di fare cinema con un rapitore pazzo, una pornostar indifesa, un supereroe feticista, i tempi della commedia e le facce tristi della Spagna.
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