Io non sono qui - Todd Haynes
Io non sono qui - Todd Haynes - 2007 - 135'
Il multiforme Bob Dylan. Di tutti i film, non molti finora, è vero, di cui ho provato a parlare qui, questo è uno di quelli che mi sta dando più difficoltà; non tanto per la sua presunta indecifrabilità, quanto per la sua chiarezza. Perché in fondo è un film sperimentale ma decifrabile in ogni sequenza. Per chi non conosce Dylan è impossibile da vedere, o meglio è inutile da vedere. Ma chi a Dylan è affezionato e riesce a ricordare gli aneddoti fondamentali, ritrova tutti i passaggi fondamentali della storia. La cronologia non è così importante, non lo scopre certo Haynes. Tutto il film mi sembra si regga sull'idea che non è possibile conoscere e tracciare una linea di racconto univoca sulla vita di una persona, impossibile se questa persona è Dylan. Sacrosanto. Poi il film rinuncia a essere davvero sperimentale, e si fa trasportare dall'unione delle canzoni, degli aneddoti, delle trovate stilistiche (alcune molto belle). E' una scelta di umiltà, di amore, nei confronti delle canzoni? E' molto probabile, e comunque a me il film è piaciuto molto. Se sembro infastidito, è perché lo sono nei confronti di tutte, tutte, le recensioni e le critiche che ho trovato su internet. Dove, rispetto a un film comunque interessante, si parla solo di una trama che chiaramente non ha nessun senso, delle citazioni più evidenti, e si urla al capolavoro solo perché lo stesso personaggio è interpretato da più attori, e addirittura da una donna! Perché le cose non succedono dalle 14 alle 18 o dal lunedì al mercoledì. Non è un capolavoro, è un buon film. Forse un ottimo film. Non è un film sperimentale. Forse si potrebbe dire che è un film di repertorio creativo, perché ricostruisce, reinventandoli, i materiali della vita e della carriera di Dylan.
Dei sei (ma sarebbero 7) aspetti/personaggi del film, alcuni sono riusciti bene, altri molto meno. Ho provato a guardarlo una seconda volta in originale, per togliermi il dubbio che qualche interpretazione forzata e qualche dialogo fuori posto fossero attribuibili al doppiaggio; la verità è che i due personaggi "rurali", curiosamente il vecchio e il bambino, oltre che l'ideale cerchio di chiusura del film, sono riusciti piuttosto male. Richard Gere è completamente fuori posto, e l'ambientazione più simbolica che western è pacchiana, già vista e digerita da un po' di anni. Pat Garrett & Billy the Kid è su un altro pianeta, Bob Dylan su un altro ancora. Marcus Carl Franklin, il bambino protagonista del segmento ispirato alla prima fase della carriera di Dylan e soprattutto alla sua ricerca di Woody Guthrie, invece sembra spiazzato, alle prese con qualcosa che non capisce e che cerca durante le riprese. Raramente ho visto in un film d'autore, ché Haynes è in ogni caso da considerare un autore, un ragazzino recitare così male. Bale a me non è mai piaciuto, ma è già più convincente. Ledger, Gainsbourg e Blanchett superlativi. Non mi soffermo mai sulle interpretazioni, perché in film di un certo livello, gli attori, tranne rari casi di cani e altrettanto rari casi di geni della recitazione, sono tutti professionisti almeno di media qualità. Che le riviste esaltino gli interpreti più famosi ha un senso, che lo faccia io meno. In questo caso però, buona parte del film, tolte alcune trovate visive, che sono poi tutte citazioni di qualcos'altro, si regge sugli attori. E anche senza volerlo il pensiero porta in quella direzione. Cate Blanchett è strepitosa, ma ha avuto il ruolo più nervoso e più libero nell'interpretazione. Whishaw quello letteralmente più statico, e se la cava molto bene. Gere aveva una parte che avrebbe potuto modernizzare molto con l'interpretazione e conferma di essere un attore molto sopravvalutato.
Di tutte le citazioni, di tutti i personaggi reali inseriti a vario titolo nello sviluppo del film, di tutte le atmosfere ricreate con la fotografia e la scenografia e i costumi, una cosa, forse banale, mi ha colpito molto. Le altre tanto potete trovarle facilmente e le atmosfere si riconoscono ancora più facilmente. Ho tirato il fiato quando, all'annuncio di Nixon che le truppe americane in Vietnam sarebbero andate via, Charlotte Gainsbourg si rende conto che un periodo è finito, che una storia d'amore non c'è più. Sarà che sono romantico, sarà che Charlotte Gainsbourg mi piace un po', ma l'idea di unire questi due momenti nel film, anche se banale al limite della paraculaggine, mi è sembrata molto potente.
La fotografia è una spanna sopra la media dei film hollywoodiani contemporanei. Passa da uno stile all'altro senza mai forzare e rendendo credibile anche l'ambientazione alla otto e mezzo. E così ho riportato anch'io la mia brava citazione. Rifare la scena di otto e mezzo, fotografia, scenografia e abbagliante bianco inclusi è comunque una scelta molto coraggiosa. Il rischio di far ridere è enorme. Haynes riesce a portarla avanti per diversi minuti e probabilmente è una scena godibile anche da chi non ha mai visto Fellini.
Per chi cerca Bob Dylan è un film ricchissimo; c'è davvero da ricordare tanti anni. Mancano alcune delle canzoni più celebri, e più inutilizzabili quindi in un film; per fortuna insomma, non c'è Blowin' in the wind. Ma le canzoni di Dylan accompagnano tutto il film, senza falsa discrezione, appesantendo piacevolmente le immagini.
Bob Dylan resta un mistero, e non sarebbe stato giusto, né onesto, provare a decifrarlo. Uno che ha suonato per il papa e per le rivolte. Che ha cercato la musica americana più tradizionale e l'ha riscritta. Chi ha assistito a un concerto di Dylan, è tornato a casa spesso con l'idea che sul palco ci fosse un'altra persona. Eppure credo che di concerti ne abbia fatti migliaia.
Il film, in questo è molto riuscito, restituisce la voglia di spiazzare continuamente di Dylan; la curiosità e l'affronto. I Rolling Stones, una delle colonne sonore migliori che il rock abbia mai prodotto, Scorsese ne sa qualcosa, non sono mai cambiati, e un film così, o migliore, non ce l'avranno mai. Godard in realtà non ha mai parlato di loro. Bob Dylan avrebbe permesso ancora altri dieci personaggi, tutti diversi, ispirati a lui.
Il multiforme Bob Dylan. Di tutti i film, non molti finora, è vero, di cui ho provato a parlare qui, questo è uno di quelli che mi sta dando più difficoltà; non tanto per la sua presunta indecifrabilità, quanto per la sua chiarezza. Perché in fondo è un film sperimentale ma decifrabile in ogni sequenza. Per chi non conosce Dylan è impossibile da vedere, o meglio è inutile da vedere. Ma chi a Dylan è affezionato e riesce a ricordare gli aneddoti fondamentali, ritrova tutti i passaggi fondamentali della storia. La cronologia non è così importante, non lo scopre certo Haynes. Tutto il film mi sembra si regga sull'idea che non è possibile conoscere e tracciare una linea di racconto univoca sulla vita di una persona, impossibile se questa persona è Dylan. Sacrosanto. Poi il film rinuncia a essere davvero sperimentale, e si fa trasportare dall'unione delle canzoni, degli aneddoti, delle trovate stilistiche (alcune molto belle). E' una scelta di umiltà, di amore, nei confronti delle canzoni? E' molto probabile, e comunque a me il film è piaciuto molto. Se sembro infastidito, è perché lo sono nei confronti di tutte, tutte, le recensioni e le critiche che ho trovato su internet. Dove, rispetto a un film comunque interessante, si parla solo di una trama che chiaramente non ha nessun senso, delle citazioni più evidenti, e si urla al capolavoro solo perché lo stesso personaggio è interpretato da più attori, e addirittura da una donna! Perché le cose non succedono dalle 14 alle 18 o dal lunedì al mercoledì. Non è un capolavoro, è un buon film. Forse un ottimo film. Non è un film sperimentale. Forse si potrebbe dire che è un film di repertorio creativo, perché ricostruisce, reinventandoli, i materiali della vita e della carriera di Dylan.
Dei sei (ma sarebbero 7) aspetti/personaggi del film, alcuni sono riusciti bene, altri molto meno. Ho provato a guardarlo una seconda volta in originale, per togliermi il dubbio che qualche interpretazione forzata e qualche dialogo fuori posto fossero attribuibili al doppiaggio; la verità è che i due personaggi "rurali", curiosamente il vecchio e il bambino, oltre che l'ideale cerchio di chiusura del film, sono riusciti piuttosto male. Richard Gere è completamente fuori posto, e l'ambientazione più simbolica che western è pacchiana, già vista e digerita da un po' di anni. Pat Garrett & Billy the Kid è su un altro pianeta, Bob Dylan su un altro ancora. Marcus Carl Franklin, il bambino protagonista del segmento ispirato alla prima fase della carriera di Dylan e soprattutto alla sua ricerca di Woody Guthrie, invece sembra spiazzato, alle prese con qualcosa che non capisce e che cerca durante le riprese. Raramente ho visto in un film d'autore, ché Haynes è in ogni caso da considerare un autore, un ragazzino recitare così male. Bale a me non è mai piaciuto, ma è già più convincente. Ledger, Gainsbourg e Blanchett superlativi. Non mi soffermo mai sulle interpretazioni, perché in film di un certo livello, gli attori, tranne rari casi di cani e altrettanto rari casi di geni della recitazione, sono tutti professionisti almeno di media qualità. Che le riviste esaltino gli interpreti più famosi ha un senso, che lo faccia io meno. In questo caso però, buona parte del film, tolte alcune trovate visive, che sono poi tutte citazioni di qualcos'altro, si regge sugli attori. E anche senza volerlo il pensiero porta in quella direzione. Cate Blanchett è strepitosa, ma ha avuto il ruolo più nervoso e più libero nell'interpretazione. Whishaw quello letteralmente più statico, e se la cava molto bene. Gere aveva una parte che avrebbe potuto modernizzare molto con l'interpretazione e conferma di essere un attore molto sopravvalutato.
Di tutte le citazioni, di tutti i personaggi reali inseriti a vario titolo nello sviluppo del film, di tutte le atmosfere ricreate con la fotografia e la scenografia e i costumi, una cosa, forse banale, mi ha colpito molto. Le altre tanto potete trovarle facilmente e le atmosfere si riconoscono ancora più facilmente. Ho tirato il fiato quando, all'annuncio di Nixon che le truppe americane in Vietnam sarebbero andate via, Charlotte Gainsbourg si rende conto che un periodo è finito, che una storia d'amore non c'è più. Sarà che sono romantico, sarà che Charlotte Gainsbourg mi piace un po', ma l'idea di unire questi due momenti nel film, anche se banale al limite della paraculaggine, mi è sembrata molto potente.
La fotografia è una spanna sopra la media dei film hollywoodiani contemporanei. Passa da uno stile all'altro senza mai forzare e rendendo credibile anche l'ambientazione alla otto e mezzo. E così ho riportato anch'io la mia brava citazione. Rifare la scena di otto e mezzo, fotografia, scenografia e abbagliante bianco inclusi è comunque una scelta molto coraggiosa. Il rischio di far ridere è enorme. Haynes riesce a portarla avanti per diversi minuti e probabilmente è una scena godibile anche da chi non ha mai visto Fellini.
Per chi cerca Bob Dylan è un film ricchissimo; c'è davvero da ricordare tanti anni. Mancano alcune delle canzoni più celebri, e più inutilizzabili quindi in un film; per fortuna insomma, non c'è Blowin' in the wind. Ma le canzoni di Dylan accompagnano tutto il film, senza falsa discrezione, appesantendo piacevolmente le immagini.
Bob Dylan resta un mistero, e non sarebbe stato giusto, né onesto, provare a decifrarlo. Uno che ha suonato per il papa e per le rivolte. Che ha cercato la musica americana più tradizionale e l'ha riscritta. Chi ha assistito a un concerto di Dylan, è tornato a casa spesso con l'idea che sul palco ci fosse un'altra persona. Eppure credo che di concerti ne abbia fatti migliaia.
Il film, in questo è molto riuscito, restituisce la voglia di spiazzare continuamente di Dylan; la curiosità e l'affronto. I Rolling Stones, una delle colonne sonore migliori che il rock abbia mai prodotto, Scorsese ne sa qualcosa, non sono mai cambiati, e un film così, o migliore, non ce l'avranno mai. Godard in realtà non ha mai parlato di loro. Bob Dylan avrebbe permesso ancora altri dieci personaggi, tutti diversi, ispirati a lui.
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