Miracolo a Le Havre - Aki Kaurismaki
Miracolo a Le Havre - Aki Kaurismaki - 2011 - 93'
Probably the best movie of 2011. E così do anche un tocco internazionale. Avrei dovuto scriverlo magari in finlandese, ma è veramente oltre le mie possibilità. E google traduttore non è ancora così affidabile.
Il film è un capolavoro; tra gli ultimi di Kaurismaki forse il migliore per coraggio, asciuttezza, qualità degli interpreti, complessità generale. Perché questo film, che sembra semplice, in realtà è pieno di riferimenti, cinematografici e non, e ha una struttura talmente esile che un tocco in più l'avrebbe fatta crollare in un oceano di luoghi comuni. Sarò partigiano e innamorato, che è l'unico atteggiamento onesto per parlare di un film così.
Kaurismaki è uno che chiama i propri personaggi Marx di cognome, la sua casa di produzione Sputnik, uno dei suoi primi film "Amleto si mette in affari"; che in questa intervista pubblicata sul sito di Repubblica dichiara senza moralismi che in America al momento è preferibile non andare, che qualche anno fa sfidava la stampa a indovinare quale metà di uno dei suoi ultimi film, forse l'ultimo, Le luci della sera, avesse girato da sobrio e quale da ubriaco. Romanticismo per romanticismo, posso dire che è lo Zeman del cinema. Ed è uno di quei registi che ti fanno credere di nuovo alla politica degli autori della Nouvelle Vague; un pessimo film di Kaurismaki sarà sempre migliore della media dei film in circolazione. E questo è un ottimo film di Kaurismaki, riconoscibilissimo peraltro come Kaurismaki; il direttore della fotografia è sempre Timo Salminen, che lavora con Kaurismaki praticamente da sempre. Kati Outinen recita per Kaurismaki da anni; insomma, la famiglia è quasi sempre la stessa. In questo caso l'ambientazione non è più la Finlandia, ma la Francia, e dall'unico altro film francese, arriva il protagonista, non solo l'attore, proprio il protagonista, non più scrittore ma lustrascarpe. Non si tratta di dare delle informazioni generali sul film, sugli interpreti, sulle tecniche di ripresa; si tratta in questo caso di individuare una poetica di fondo, portata avanti lungo tutta una carriera, non con coerenza, ma piuttosto con romanticismo. Perché, ancora più degli altri suoi film, questo è un film sulla resistenza, come d'altra parte ha notato subito una giovane partigiana contemporanea che era al cinema con me a vederlo. Piccola parentesi: non è possibile, non è giusto che si debba vedere un film in una sala più larga che lunga, più piccola di un monolocale. Non voglio passare per snob, che pure in parte sono, ma si sta male, si torna a casa incazzati e si rischia di non apprezzare nemmeno i capolavori, seduti a due metri da uno schermo di... 15 metri, più o meno. Gli occhi non riescono nemmeno ad abbracciare lo schermo per intero. Poi affianco a noi c'era una signora che puzzava come un merluzzo marcio, ma questo non è un problema del cinema. Io sono favorevolissimo alle piccole sale, perché di solito ci si sta meglio che in quelle grandi, sono più facili da raggiungere, costano anche meno. Ma tutto dev'essere proporzionato. Che senso ha uno schermo di una sala da trecento posti in una da quaranta?
Dicevo: è un film sulla resistenza, su come dovrebbe essere una resistenza oggi e su come sia la scelta giusta, l'unica possibile. La resistenza oggi è come la resistenza di sempre, tranne quando c'è la guerra, che allora è un po' diverso; tranquilla, pronta a tutto, povera, con pochi ma decisivi colpi di scena, possibilmente con del rock.
Non si riesce nemmeno a parlare di questo film con il distacco che dovrebbe avere una recensione seria; provo a dare delle pillole: il protagonista è lo stesso di Vita da boheme, ma non è una citazione, o peggio un'auto citazione. Piuttosto è la prosecuzione, con un altro film, di quella vita.
Little Bob ha davvero avuto una carriera punk rock di tutto rispetto. Cercare su internet per credere.
Ci sono alcune delle gag tra le migliori degli ultimi anni. E, anche se è banale dirlo, questo è davvero un film che ti riconcilia con la vita. Avendo la possibilità, dopo averlo visto, bisogna fare l'amore.
Nelle interviste, Kaurismaki spiega come mai c'è Leaud e perché ha proprio quel ruolo infame. Ecco il link a un'altra intervista che ho trovato in questi ultimi giorni.
L'atmosfera anni cinquanta che si respira nei film di Kaurismaki, compreso ovviamente questo, si spiega solo con la vita anni cinquanta che conduce lui. Per il 90% dei registi mondiali sarebbe un vezzo inutile e fastidioso.
Ultimamente ho visto Casablanca, non l'avevo mai visto, è uno di quei classici che mi mancava. Miracolo a Le Havre, che in originale si chiama Le Havre e basta, è probabilmente oltre Casablanca, perché è depurato di tutto l'apparato spettacolare di Hollywood.
Si parla molto di Bresson come autore di riferimento per Kaurismaki, ma io ci rivedo soprattutto molto Ozu e un po' di Tati.
Chissà come mai si riesce a parlare benissimo dei film che non ci sono piaciuti, o di quelli che ci sono piaciuti fino a un certo punto, e poi è quasi impossibile parlare del film migliore che ho visto, dvd compresi, classici inclusi, visioni doppie e triple annesse, negli ultimi mesi.
Ultimamente Kaurismaki gira un film ogni cinque anni; precisione finlandese vuole che questo non sia un caso. Quindi è probabile che il prossimo film lo vedremo nel 2016. Questo per dire che non ci sono moltissime occasioni per vedere pezzi del Kaurismaki pensiero. E soprattutto questo per dire che il film a Cannes è stato in lizza fino all'ultimo per la palma d'oro, poi invece non ha vinto nulla, e la palma è andata a quella "roba" di The Tree of Life, che a raccontarlo non ci si crede. Kaurismaki non è tipo da perderci il sonno, ma invece sarebbe stato utilissimo per il film portare a casa qualcosa. Nelle sale è andato benissimo, qui a Genova è restato in un cinema del centro per forse più di un mese, ma sarebbe potuto andare ancora meglio. E forse la puzza di merluzzo morto non ci stava poi così male in effetti con quei colori.
Qualche anno fa a Venezia vinse il leone d'oro un film russo, Il ritorno credo si chiamasse. In quel caso in lizza fino all'ultimo c'era Buongiorno, notte di Bellocchio. Oggettivamente non un capolavoro, ma sempre meglio de Il ritorno. Bellocchio si incazzò maledettamente. E mi chiedo com'è quando si incazza Kaurismaki.
Probably the best movie of 2011. E così do anche un tocco internazionale. Avrei dovuto scriverlo magari in finlandese, ma è veramente oltre le mie possibilità. E google traduttore non è ancora così affidabile.
Il film è un capolavoro; tra gli ultimi di Kaurismaki forse il migliore per coraggio, asciuttezza, qualità degli interpreti, complessità generale. Perché questo film, che sembra semplice, in realtà è pieno di riferimenti, cinematografici e non, e ha una struttura talmente esile che un tocco in più l'avrebbe fatta crollare in un oceano di luoghi comuni. Sarò partigiano e innamorato, che è l'unico atteggiamento onesto per parlare di un film così.
Kaurismaki è uno che chiama i propri personaggi Marx di cognome, la sua casa di produzione Sputnik, uno dei suoi primi film "Amleto si mette in affari"; che in questa intervista pubblicata sul sito di Repubblica dichiara senza moralismi che in America al momento è preferibile non andare, che qualche anno fa sfidava la stampa a indovinare quale metà di uno dei suoi ultimi film, forse l'ultimo, Le luci della sera, avesse girato da sobrio e quale da ubriaco. Romanticismo per romanticismo, posso dire che è lo Zeman del cinema. Ed è uno di quei registi che ti fanno credere di nuovo alla politica degli autori della Nouvelle Vague; un pessimo film di Kaurismaki sarà sempre migliore della media dei film in circolazione. E questo è un ottimo film di Kaurismaki, riconoscibilissimo peraltro come Kaurismaki; il direttore della fotografia è sempre Timo Salminen, che lavora con Kaurismaki praticamente da sempre. Kati Outinen recita per Kaurismaki da anni; insomma, la famiglia è quasi sempre la stessa. In questo caso l'ambientazione non è più la Finlandia, ma la Francia, e dall'unico altro film francese, arriva il protagonista, non solo l'attore, proprio il protagonista, non più scrittore ma lustrascarpe. Non si tratta di dare delle informazioni generali sul film, sugli interpreti, sulle tecniche di ripresa; si tratta in questo caso di individuare una poetica di fondo, portata avanti lungo tutta una carriera, non con coerenza, ma piuttosto con romanticismo. Perché, ancora più degli altri suoi film, questo è un film sulla resistenza, come d'altra parte ha notato subito una giovane partigiana contemporanea che era al cinema con me a vederlo. Piccola parentesi: non è possibile, non è giusto che si debba vedere un film in una sala più larga che lunga, più piccola di un monolocale. Non voglio passare per snob, che pure in parte sono, ma si sta male, si torna a casa incazzati e si rischia di non apprezzare nemmeno i capolavori, seduti a due metri da uno schermo di... 15 metri, più o meno. Gli occhi non riescono nemmeno ad abbracciare lo schermo per intero. Poi affianco a noi c'era una signora che puzzava come un merluzzo marcio, ma questo non è un problema del cinema. Io sono favorevolissimo alle piccole sale, perché di solito ci si sta meglio che in quelle grandi, sono più facili da raggiungere, costano anche meno. Ma tutto dev'essere proporzionato. Che senso ha uno schermo di una sala da trecento posti in una da quaranta?
Dicevo: è un film sulla resistenza, su come dovrebbe essere una resistenza oggi e su come sia la scelta giusta, l'unica possibile. La resistenza oggi è come la resistenza di sempre, tranne quando c'è la guerra, che allora è un po' diverso; tranquilla, pronta a tutto, povera, con pochi ma decisivi colpi di scena, possibilmente con del rock.
Non si riesce nemmeno a parlare di questo film con il distacco che dovrebbe avere una recensione seria; provo a dare delle pillole: il protagonista è lo stesso di Vita da boheme, ma non è una citazione, o peggio un'auto citazione. Piuttosto è la prosecuzione, con un altro film, di quella vita.
Little Bob ha davvero avuto una carriera punk rock di tutto rispetto. Cercare su internet per credere.
Ci sono alcune delle gag tra le migliori degli ultimi anni. E, anche se è banale dirlo, questo è davvero un film che ti riconcilia con la vita. Avendo la possibilità, dopo averlo visto, bisogna fare l'amore.
Nelle interviste, Kaurismaki spiega come mai c'è Leaud e perché ha proprio quel ruolo infame. Ecco il link a un'altra intervista che ho trovato in questi ultimi giorni.
L'atmosfera anni cinquanta che si respira nei film di Kaurismaki, compreso ovviamente questo, si spiega solo con la vita anni cinquanta che conduce lui. Per il 90% dei registi mondiali sarebbe un vezzo inutile e fastidioso.
Ultimamente ho visto Casablanca, non l'avevo mai visto, è uno di quei classici che mi mancava. Miracolo a Le Havre, che in originale si chiama Le Havre e basta, è probabilmente oltre Casablanca, perché è depurato di tutto l'apparato spettacolare di Hollywood.
Si parla molto di Bresson come autore di riferimento per Kaurismaki, ma io ci rivedo soprattutto molto Ozu e un po' di Tati.
Chissà come mai si riesce a parlare benissimo dei film che non ci sono piaciuti, o di quelli che ci sono piaciuti fino a un certo punto, e poi è quasi impossibile parlare del film migliore che ho visto, dvd compresi, classici inclusi, visioni doppie e triple annesse, negli ultimi mesi.
Ultimamente Kaurismaki gira un film ogni cinque anni; precisione finlandese vuole che questo non sia un caso. Quindi è probabile che il prossimo film lo vedremo nel 2016. Questo per dire che non ci sono moltissime occasioni per vedere pezzi del Kaurismaki pensiero. E soprattutto questo per dire che il film a Cannes è stato in lizza fino all'ultimo per la palma d'oro, poi invece non ha vinto nulla, e la palma è andata a quella "roba" di The Tree of Life, che a raccontarlo non ci si crede. Kaurismaki non è tipo da perderci il sonno, ma invece sarebbe stato utilissimo per il film portare a casa qualcosa. Nelle sale è andato benissimo, qui a Genova è restato in un cinema del centro per forse più di un mese, ma sarebbe potuto andare ancora meglio. E forse la puzza di merluzzo morto non ci stava poi così male in effetti con quei colori.
Qualche anno fa a Venezia vinse il leone d'oro un film russo, Il ritorno credo si chiamasse. In quel caso in lizza fino all'ultimo c'era Buongiorno, notte di Bellocchio. Oggettivamente non un capolavoro, ma sempre meglio de Il ritorno. Bellocchio si incazzò maledettamente. E mi chiedo com'è quando si incazza Kaurismaki.
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