Il divo - Paolo Sorrentino
Il divo - Paolo Sorrentino - 2008 - 110'
E poi è arrivato This must be the place, di cui ho parlato non troppo tempo fa. Più passa il tempo e più mi rendo conto che il film con Sean Penn è riuscito male; quindi ho ripreso il dvd del Il divo e me lo sono rivisto. Ho sempre pensato che il cinema va bene anche, soprattutto, visto sulle Mivar di qualche anno fa, mai troppo rimpiante. Il divo però al cinema fa un altro effetto, bisogna ammetterlo. Rivisto a casa, su un computer scadente resta un film meraviglioso, ma qualche colore si perde, a volte sono tornato indietro per capire meglio una scena. La verità è che è un film pensato per essere visto al cinema. Si dice spesso, anche quando non è vero; in questo caso chi l'ha perso al cinema ha perso effettivamente qualcosa.
Non si giudica un film dai titoli di testa, ma i titoli de Il divo sono tra i migliori degli ultimi anni. Sicuramente i migliori titoli di testa di un film italiano da molti anni. Alla pari forse con quelli dei primi western di Sergio Leone. Su youtube è possibile ritrovarli e vederli, naturalmente. Al cinema, mi ricordo, ho avuto la sensazione che nessuno in sala si aspettasse di cominciare a vedere un film così. Si è alzato come un vento di piacevole sorpresa, qualche voce; si potevano immaginare gli occhi sgranati di molti.
La questione dei titoli apre un discorso un po' più ampio sulla gestione registica del film. In un film in cui funziona praticamente tutto, che peso hanno i fattori di contorno e perché si è deciso di puntare proprio su quelli? O invece, più semplicemente è un film molto attento ai dettagli e non sempre ci si è abituati? Perché alcune delle cose che restano dopo la visione non fanno parte del cuore del film, che è più nascosto, più evidente a una seconda visione. E quindi non siamo di fronte a un film semplice. A cui forse non ha giovato l'accostamento continuo a Gomorra, che invece ha un impianto più tradizionale. Sorrentino, dicevo, ha curato molto i dettagli e gli aspetti tecnici del film; e del resto sono le caratteristiche che lo stanno rendendo celebre, nonostante una certa discontinuità. Lo stile di ripresa è fluido e continuamente in movimento, a volte con soluzioni molto personali.
Della musica si è parlato moltissimo; il film ha vinto un premio proprio per il rapporto tra musiche e immagini. Il pop resta più facilmente nella memoria dello spettatore, ma rivedendo il film una seconda volta, ci si rende conto che la musica accompagna tutto il film, costantemente; e che dentro non c'è solo pop.
Teho Teardo, che aveva già curato le musiche de L'amico di famiglia, fa un lavoro straordinario e riesce a legare le canzoni, tante e molto caratterizzanti, con la musica classica, altrettanto presente. Oltre Vivaldi, che è abbastanza riconoscibile anche per chi come me non è ferratissimo, un altro compositore è presente nella colonna sonora con diversi frammenti di composizioni, Jean Sibelius, di cui non sapevo nulla, per cui ne approfitto per un link che magari è utile anche ad altri. Su Imdb è possibile trovare, insieme a tutte le altre informazioni, anche il resto della colonna sonora, molto varia. La fotografia è di Bigazzi, che invece è più noto, almeno agli appassionati di cinema, e quindi mi posso risparmiare le informazioni, i link e la vocazione didattica che chissà come mai mi accompagna oggi. L'ultimo cenno, noiosamente tecnico, me lo spendo a favore dei caratteristi. Anche in questo Il divo è simile ai western di Leone, e forse recupera una tradizione italiana che non è quasi mai esistita e che la cinematografia americana, cinematografia di riferimento per i registi come Sorrentino, non sempre sfrutta davvero. Qui ogni personaggio, anche quelli minori, ha la faccia giusta. Se per i protagonisti politici riconoscibili si è scelto di seguire la strada del mimetismo, e quindi le facce e gli atteggiamenti sono ricalcati, per tutti gli altri la strada è quella del recupero delle ambientazioni, anche attraverso gli attori. C'è la solita esaltazione dei tratti distintivi di tutti gli attori, anche di quelli meno presenti, che è tipica di Sorrentino. E quindi i killer hanno una faccia da killer dei fumetti assolutamente realistica e improbabile, per stare ad un solo esempio.
Il film ha colpito molto il pubblico italiano perché è molto distante dalle produzioni italiane tipiche degli ultimi anni. Non riesco a ricordare un film italiano recente con così tanti movimenti di macchina, così tante invenzioni visive ben organizzate al resto del racconto. La seconda parte, più politica e didattica, è un po' più lenta e la differenza con il resto del film si avverte moltissimo. Sembra quasi che Sorrentino abbia voluto far capire di conoscere come siano andate le cose e che abbia voluto chiarire da che parte sta. Ma tutto si inserisce in fondo in uno schema tipico, quello del racconto di ascesa e caduta, anche se trattato in modo personale. Anche in questo caso mi sembra di ritrovare suggestioni molto più americane che italiane, e quindi molto più Scarface che Fellini. Un pizzico di noir francese forse, sì, direi di sì. In questo meccanismo classico, Sorrentino trova in Andreotti il suo personaggio tipico, lo stesso de Le conseguenze dell'amore, di The must be the place, solo per citare i film più conosciuti. E se va riconosciuta l'abilità di trovare un personaggio reale ideale per riproporre uno schema e una visione del cinema e della vita, è altrettanto doveroso riconoscere che il film finora più riuscito di Sorrentino è quello in cui ha trovato gli aneddoti e gli aforismi che gli sono congeniali già pronti. Perché Il divo non ci risparmia praticamente quasi nessuna delle battute celebri di Andreotti. E sarebbe interessante sapere cosa ne pensa uno spettatore non italiano. Probabilmente riesce ad apprezzare i dialoghi anche senza la memoria che si portano dietro. Forse riesce a trovarci significati che a noi sono preclusi dalla frequenza con cui abbiamo già sentito le stesse parole.
Il divo non è un film politico in senso stretto, non è un film d'inchiesta; è un film di genere, che rielabora la memoria personale di Sorrentino con quella italiana, inserendo nei buchi i sogni che servono a tappezzare le zone scoperte. In questo c'è forse il merito maggiore del film; nelle scene d'invenzione che sono però verosimili pur restando incredibili, pur conservando l'atmosfera di sogno, di visione personale. Pomicino che corre nel corridoio, l'agopuntura, gli interruttori della luce, l'ormai famoso skateboard, gli autobus notturni.
Non è, in conclusione, Fellini il riferimento cinematografico, non dico di Sorrentino, ma nemmeno della critica. Non può esserlo, per tendenze di cinema e storia personale. Il vero lume critico per comprendere Sorrentino è Sergio Leone, per cultura e acume. Si ritrova anche, purtroppo, la stessa tendenza a rifarsi. Il divo è l'equivalente moderno di Per un pugno di dollari. E' lì che bisogna guardare per capire che lavori porta avanti Sorrentino e che carriera gli si prospetta. In definitiva che film possiamo aspettarci.
Rivedere Il divo, che sarà, come Per un pugno di dollari, uno standard del cinema italiano, mi ha fatto ricredere; possiamo aspettarci un altro buon film da Sorrentino, di certo migliore dell'ultimo che sceglie i riferimenti sbagliati e cerca sé stesso dove non può trovarlo.
E poi è arrivato This must be the place, di cui ho parlato non troppo tempo fa. Più passa il tempo e più mi rendo conto che il film con Sean Penn è riuscito male; quindi ho ripreso il dvd del Il divo e me lo sono rivisto. Ho sempre pensato che il cinema va bene anche, soprattutto, visto sulle Mivar di qualche anno fa, mai troppo rimpiante. Il divo però al cinema fa un altro effetto, bisogna ammetterlo. Rivisto a casa, su un computer scadente resta un film meraviglioso, ma qualche colore si perde, a volte sono tornato indietro per capire meglio una scena. La verità è che è un film pensato per essere visto al cinema. Si dice spesso, anche quando non è vero; in questo caso chi l'ha perso al cinema ha perso effettivamente qualcosa.
Non si giudica un film dai titoli di testa, ma i titoli de Il divo sono tra i migliori degli ultimi anni. Sicuramente i migliori titoli di testa di un film italiano da molti anni. Alla pari forse con quelli dei primi western di Sergio Leone. Su youtube è possibile ritrovarli e vederli, naturalmente. Al cinema, mi ricordo, ho avuto la sensazione che nessuno in sala si aspettasse di cominciare a vedere un film così. Si è alzato come un vento di piacevole sorpresa, qualche voce; si potevano immaginare gli occhi sgranati di molti.
La questione dei titoli apre un discorso un po' più ampio sulla gestione registica del film. In un film in cui funziona praticamente tutto, che peso hanno i fattori di contorno e perché si è deciso di puntare proprio su quelli? O invece, più semplicemente è un film molto attento ai dettagli e non sempre ci si è abituati? Perché alcune delle cose che restano dopo la visione non fanno parte del cuore del film, che è più nascosto, più evidente a una seconda visione. E quindi non siamo di fronte a un film semplice. A cui forse non ha giovato l'accostamento continuo a Gomorra, che invece ha un impianto più tradizionale. Sorrentino, dicevo, ha curato molto i dettagli e gli aspetti tecnici del film; e del resto sono le caratteristiche che lo stanno rendendo celebre, nonostante una certa discontinuità. Lo stile di ripresa è fluido e continuamente in movimento, a volte con soluzioni molto personali.
Della musica si è parlato moltissimo; il film ha vinto un premio proprio per il rapporto tra musiche e immagini. Il pop resta più facilmente nella memoria dello spettatore, ma rivedendo il film una seconda volta, ci si rende conto che la musica accompagna tutto il film, costantemente; e che dentro non c'è solo pop.
Teho Teardo, che aveva già curato le musiche de L'amico di famiglia, fa un lavoro straordinario e riesce a legare le canzoni, tante e molto caratterizzanti, con la musica classica, altrettanto presente. Oltre Vivaldi, che è abbastanza riconoscibile anche per chi come me non è ferratissimo, un altro compositore è presente nella colonna sonora con diversi frammenti di composizioni, Jean Sibelius, di cui non sapevo nulla, per cui ne approfitto per un link che magari è utile anche ad altri. Su Imdb è possibile trovare, insieme a tutte le altre informazioni, anche il resto della colonna sonora, molto varia. La fotografia è di Bigazzi, che invece è più noto, almeno agli appassionati di cinema, e quindi mi posso risparmiare le informazioni, i link e la vocazione didattica che chissà come mai mi accompagna oggi. L'ultimo cenno, noiosamente tecnico, me lo spendo a favore dei caratteristi. Anche in questo Il divo è simile ai western di Leone, e forse recupera una tradizione italiana che non è quasi mai esistita e che la cinematografia americana, cinematografia di riferimento per i registi come Sorrentino, non sempre sfrutta davvero. Qui ogni personaggio, anche quelli minori, ha la faccia giusta. Se per i protagonisti politici riconoscibili si è scelto di seguire la strada del mimetismo, e quindi le facce e gli atteggiamenti sono ricalcati, per tutti gli altri la strada è quella del recupero delle ambientazioni, anche attraverso gli attori. C'è la solita esaltazione dei tratti distintivi di tutti gli attori, anche di quelli meno presenti, che è tipica di Sorrentino. E quindi i killer hanno una faccia da killer dei fumetti assolutamente realistica e improbabile, per stare ad un solo esempio.
Il film ha colpito molto il pubblico italiano perché è molto distante dalle produzioni italiane tipiche degli ultimi anni. Non riesco a ricordare un film italiano recente con così tanti movimenti di macchina, così tante invenzioni visive ben organizzate al resto del racconto. La seconda parte, più politica e didattica, è un po' più lenta e la differenza con il resto del film si avverte moltissimo. Sembra quasi che Sorrentino abbia voluto far capire di conoscere come siano andate le cose e che abbia voluto chiarire da che parte sta. Ma tutto si inserisce in fondo in uno schema tipico, quello del racconto di ascesa e caduta, anche se trattato in modo personale. Anche in questo caso mi sembra di ritrovare suggestioni molto più americane che italiane, e quindi molto più Scarface che Fellini. Un pizzico di noir francese forse, sì, direi di sì. In questo meccanismo classico, Sorrentino trova in Andreotti il suo personaggio tipico, lo stesso de Le conseguenze dell'amore, di The must be the place, solo per citare i film più conosciuti. E se va riconosciuta l'abilità di trovare un personaggio reale ideale per riproporre uno schema e una visione del cinema e della vita, è altrettanto doveroso riconoscere che il film finora più riuscito di Sorrentino è quello in cui ha trovato gli aneddoti e gli aforismi che gli sono congeniali già pronti. Perché Il divo non ci risparmia praticamente quasi nessuna delle battute celebri di Andreotti. E sarebbe interessante sapere cosa ne pensa uno spettatore non italiano. Probabilmente riesce ad apprezzare i dialoghi anche senza la memoria che si portano dietro. Forse riesce a trovarci significati che a noi sono preclusi dalla frequenza con cui abbiamo già sentito le stesse parole.
Il divo non è un film politico in senso stretto, non è un film d'inchiesta; è un film di genere, che rielabora la memoria personale di Sorrentino con quella italiana, inserendo nei buchi i sogni che servono a tappezzare le zone scoperte. In questo c'è forse il merito maggiore del film; nelle scene d'invenzione che sono però verosimili pur restando incredibili, pur conservando l'atmosfera di sogno, di visione personale. Pomicino che corre nel corridoio, l'agopuntura, gli interruttori della luce, l'ormai famoso skateboard, gli autobus notturni.
Non è, in conclusione, Fellini il riferimento cinematografico, non dico di Sorrentino, ma nemmeno della critica. Non può esserlo, per tendenze di cinema e storia personale. Il vero lume critico per comprendere Sorrentino è Sergio Leone, per cultura e acume. Si ritrova anche, purtroppo, la stessa tendenza a rifarsi. Il divo è l'equivalente moderno di Per un pugno di dollari. E' lì che bisogna guardare per capire che lavori porta avanti Sorrentino e che carriera gli si prospetta. In definitiva che film possiamo aspettarci.
Rivedere Il divo, che sarà, come Per un pugno di dollari, uno standard del cinema italiano, mi ha fatto ricredere; possiamo aspettarci un altro buon film da Sorrentino, di certo migliore dell'ultimo che sceglie i riferimenti sbagliati e cerca sé stesso dove non può trovarlo.
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