Salò o le 120 giornate di Sodoma - Pier Paolo Pasolini

Salò o le 120 giornate di Sodoma - Pier Paolo Pasolini - 1976 - 116'

Una visione terribile, terrificante, spaventosa. Ci si arriva preparati, tutti sanno cosa aspettarsi da questo film, ma non è sufficiente e le ultime immagini non escono più dalla memoria. Quasi mai ho avuto così tanta paura delle immagini. Gli ultimi dieci minuti sono terribilmente angoscianti, quasi inguardabili. Pasolini in quelle immagini chiama in gioco direttamente il senso di colpa dello spettatore, lo invita letteralmente a prendersi la responsabilità di quelle immagini e la partecipazione emotiva che ne deriva a tratti è insostenibile.
Ho evitato di inserire fotogrammi di queste ultime scene; chi vuole vedere il film deve necessariamente assumersi la responsabilità di guardarle senza anticipazioni.


Il film è talmente sconvolgente, e la morte di Pasolini così ravvicinata all'uscita del film (che difatti è postumo), che internet brulica di commenti, recensioni, analisi, impressioni. Su pasolini.net ci sono una serie di pagine particolarmente interessanti dedicate al film. Ho scelto questa di Bertolucci, ma avrei potuto sceglierne altre. Bertolucci in questo caso ha il merito di cercare un'interpretazione lontana dagli stereotipi.
Su effettonotteonline c'è un'altra pagina critica lontana dalle ripetizioni inutili di cui internet è pieno.
Per analizzare decentemente Salò è necessaria una cultura letteraria di base notevolissima che purtroppo non posso vantare. La già citata critica di effettonotteonline dà un'infarinatura sufficientemente esaustiva dei temi principali. Cercando ancora, è possibile trovare diversi spunti. Allo stesso tempo è pieno, ma davvero pieno, di recensioni assurde, al limite della stupidità. C'è addirittura chi si lamenta della mancanza di sangue, o della recitazione degli attori non professionisti, dimostrando solo una superba ignoranza del cinema, di Pasolini, dei metodi di lavorazione cinematografica. Di fronte a un film celeberrimo si rimane esterrefatti leggendo critiche così arroganti e improvvisate. Nei mesi di vita di questo blog, che so essere incompleto, e incollato a due, tre, massimo quattro idee fisse, ho letto pagine di critica da lasciare senza possibili commenti e con molto ritardo ho preso coscienza probabilmente del maggiore limite di internet; l'inutile ridondanza di interpretazioni da bar della realtà che si autoalimentano della loro stessa noia.


Tornando a Salò; è Pasolini stesso a darci le chiavi di lettura del film nelle interviste e negli articoli che rilascia e che scrive prima di morire. E dopotutto, se Salò si discosta molto dai suoi film precedenti per la trama e il pessimismo totale, non se ne discosta affatto per il metodo. Pasolini gira ancora un film simbolista marxista, confermando, soprattutto ora che la negativizza, la sua visione del cinema, della vita, dell'impegno politico, della religione, del potere e delle istituzioni borghesi. Salò dunque non è un film sul sesso; il sesso è solo uno strumento del potere, ovvero una merce. Il sesso si perverte quindi nella misura in cui si fa pervertire dal potere, che non ha altro interesse che il potere stesso. Il potere muore solo se muore il potere e quando muore è perché muore il sistema che lo giustifica e che permette, questo sembra suggerire Pasolini, l'assoggettamento volontario delle masse proletarie, incapaci di difendersi perché incapaci di ribellarsi e incapaci di ribellarsi perché fuori dall'utopia ideologica della religione o del comunismo. Lo sforzo individuale, religioso o politico, non ha speranza e non lascia nemmeno traccia del suo passaggio. In questo film letteralmente fa ridere. L'impegno collettivo non viene neppure evocato, la coscienza di classe è assente, la crisi del comunismo porta alla sconfitta totale, eterna, senza nemmeno più il soccorso della religione, che pure Pasolini aveva tirato in ballo spesso e volentieri nei suoi film precedenti. Se crolla un'ideologia crollano tutte le ideologie, questo ancora sembra suggerire Salò.


Non è possibile, aldilà dei giudizi personali, non vedere in tutta questa operazione un coraggio estremo, una volontà di fare i conti con la società e con se stesso che trova pochissimi termini di paragone e che solo i grandi artisti o i grandi intellettuali possono permettersi. Con Salò Pasolini va oltre la dichiarazione di se stesso e si mette di traverso alla stessa società che l'aveva promosso come intellettuale, alla stessa società che gli permetteva di avere uno spazio d'azione enorme, dal giornalismo al cinema, dalla letteratura alla televisione. Nessuno in Italia potrebbe permettersi oggi di girare non dico Salò, ma nemmeno i racconti di Canterbury. A nessuno vengono riconosciute quell'autorevolezza di sguardo e quella libertà d'azione. Mi si dirà che è cambiato il mercato cinematografico e più in generale il mercato culturale ed è vero, ma Pasolini si muoveva come un'artista totale.
Detto questo, e dato merito a un film che è comunque chiaro dalla prima all'ultima inquadratura, e che rimane tra i film più sconvolgenti di sempre, va detto anche che la pretesa veggenza pasoliniana è una veggenza populista e che l'ultimo Pasolini è sempre più incline al ripiegamento conservatore, chiuso in un sogno mai esistito, alla ricerca ossessiva della giustificazione ideologica che lo pone fuori dalla storia. Il Pasolini di Salò rifiuta l'idea di progresso inteso come ventaglio di possibilità e propone ancora un'idea di progresso lineare che non è mai esistita e che ha trovato giustificazione solo nelle ideologie costruite non già come possibilità storiche, ma come costruzioni della storia da realizzarsi di per se stesse. In questo quadro è impossibile trovare una giustificazione intellettuale e morale ai desideri di libertà individuale, collettiva e politica che Pasolini giustamente si auspica per se stesso e per l'Italia. Pasolini arriva a Salò da conservatore, ancorché marxista e gira Salò, non solo, ma anche, per provocare nella borghesia intellettuale italiana le reazioni che puntualmente riceve.
Non ci si aspettava di meno che il film venisse sequestrato, sottoposto a processo, e insomma, il solito illuminato atteggiamento politico italiano nei confronti dell'arte. Non l'avrei nemmeno ripetuto se non per riportare un dato che non conoscevo: il primo passaggio televisivo in Italia del film è datato addirittura 2000, cioè nel venticinquennale della morte di Pasolini.


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