Tutto parla di te - Alina Marazzi
Tutto parla di te - Alina Marazzi - 2013 - 83'
Ci sono film, registi, documentari, storie, che aspetto con felicità impaziente. Cerco sempre di coinvolgere altre persone, di andare al cinema in compagnia, e poi di sapere cosa ne pensano. Ci sono film verso i quali le aspettative sono molto alte. Tutto parla di te - qui il sito del film - è un film che aspettavo da settimane. Al cinema alla fine eravamo in tre, meno di quanti avrei voluto, io e due donne, sorelle tra loro. Il film è piaciuto davvero solo a una persona su tre.
La sala di un cinema nel centro di Genova era piena per almeno più di un terzo. Credo ci fossero almeno quaranta, quarantacinque spettatori. Per un film del genere, di mercoledì, a qualche giorno già dall'uscita, non è male. Certo, si può fare sempre meglio, ma non mi sembra che il film stia andando male, soprattutto considerando che si tratta di un film dalla vita lunghissima dopo lo sfruttamento in sala. È una notizia positiva perché Tutto parla di te è un film necessario, che apre la discussione su un tema quasi mai dibattuto nelle case, negli uffici, nei bar e riesce a farlo facendo pulizia dei luoghi comuni e mettendo in evidenza almeno due cose fondamentali. Marazzi le va ripetendo in tutte le interviste: un aiuto non deve arrivare necessariamente dal proprio compagno, anzi, se arriva da un uomo esterno e amico, può essere anche meglio. Se hanno gli strumenti culturali per affrontare la cosa e soprattutto l'aiuto e la vicinanza delle persone giuste, le donne possono fare i conti con la depressione post parto e uscirne bene, cercando di stare male il meno possibile.
Ultimamente escono particolarmente bistrattati dal tempo e da quello che si muove in giro, ma i giornali fanno ancora il loro sporco lavoro, e non lo fanno male, nonostante quel che si dice in giro. A questo film è stato dedicato molto spazio, ed è una bella cosa. Il Fatto Quotidiano, che io non amo, ospita però un progetto molto interessante - Tutto parla di voi -, che parte dal film per arrivare al pubblico in un'altra forma. Marazzi è bravissima a immaginare queste iniziative, a giocare con i linguaggi, a far uscire il cinema fuori dalla sua vita e a trovarne altre. Il Fatto ha il merito non proprio trascurabile di ospitarla.
Se le prime cose da pensare e da dire e da scrivere sono queste, forse però nel film c'è qualcosa che non va. Dov'è il film? Perché non ne stiamo ancora parlando? Qual è l'obiettivo del film? Fare un film didattico? Fare un "film progresso"? Può funzionare? In che misura, sacrificando cosa?
È evidente a qualsiasi spettatore dotato di qualche briciola di memoria che soprattutto la parte di fiction di Tutto parla di te non va; che Charlotte Rampling non ha mai recitato così male, la fotografia non è molto meglio di quella di un buon prodotto per la televisione, che Alina Marazzi ci aveva abituati a ben altro. Il distacco tra le interviste, quelle sì, memorabili, e le parti recitate è enorme.
In un'intervista trovata su linkiesta, Marazzi rivela che avrebbe voluto le foto di Francesca Woodman per il film; delle foto fanno parte del materiale che compone il film, insieme a molte altre cose, secondo lo stile di Marazzi. I genitori di Woodman non hanno dato il loro consenso allo sfruttamento dell'opera della figlia per questo film, e Marazzi ha contattato un'altra fotografa, Simona Ghizzoni, che ha realizzato, cercando di avvicinarsi alle atmosfere delle foto di Woodman, delle foto meravigliose, per fortuna non troppo simili a quelle di Woodman, che da fenomeno fotografico autentico sta diventando luogo comune della fotografia per sovraesposizione di parole oltre tutto, più che di immagini. Ghizzoni lavora per Contrasto; su Repubblica c'è una foto gallery che la riguarda.
Non si riesce a parlare di questo film per il film. Probabilmente perché il film non era così importante. E si vede. Più importante era provare a inserire una sceneggiatura e degli attori in una struttura innovativa ma già collaudata. Il risultato non è apprezzabilissimo, ma si può migliorare. E comunque il tentativo andava fatto. Più importante ancora era proseguire il discorso riguardo a un femminismo moderno, grato al femminismo degli anni '70 ma libero di muoversi adesso. Questo ultimo obiettivo mi sembra brillantemente raggiunto. Credo che Vogliamo anche le rose abbia davvero fatto muovere delle persone da casa. Vogliamo anche le rose, nel suo piccolo, certo, è stato un film dirompente, che ha contribuito a creare il clima per provare a ricreare in Italia una coscienza di genere. Tutto parla di te è meno potente, ma strutturato ugualmente bene, e se il film si dimentica, le interviste restano, la sensazione di aver capito qualcosa in più rimane, insieme alla consapevolezza che ora l'argomento va affrontato e studiato meglio individualmente, come coppia e come piccolo sistema sociale al quale ognuno ritiene di appartenere.
Su Sentieri Selvaggi c'è un'intervista interessante a Marazzi e alla co-protagonista Elena Radonicich.
Il film si conclude con una frase a effetto, dispiace dirlo, che grida vendetta e che mai mi sarei aspettato da Marazzi, da Dario Zonta che ha scritto con lei la sceneggiatura e che mi ha portato subito a pensare a quali saranno state le reazioni a Hollywood Party di fronte a una frase del genere.
Ci sono film, registi, documentari, storie, che aspetto con felicità impaziente. Cerco sempre di coinvolgere altre persone, di andare al cinema in compagnia, e poi di sapere cosa ne pensano. Ci sono film verso i quali le aspettative sono molto alte. Tutto parla di te - qui il sito del film - è un film che aspettavo da settimane. Al cinema alla fine eravamo in tre, meno di quanti avrei voluto, io e due donne, sorelle tra loro. Il film è piaciuto davvero solo a una persona su tre.
La sala di un cinema nel centro di Genova era piena per almeno più di un terzo. Credo ci fossero almeno quaranta, quarantacinque spettatori. Per un film del genere, di mercoledì, a qualche giorno già dall'uscita, non è male. Certo, si può fare sempre meglio, ma non mi sembra che il film stia andando male, soprattutto considerando che si tratta di un film dalla vita lunghissima dopo lo sfruttamento in sala. È una notizia positiva perché Tutto parla di te è un film necessario, che apre la discussione su un tema quasi mai dibattuto nelle case, negli uffici, nei bar e riesce a farlo facendo pulizia dei luoghi comuni e mettendo in evidenza almeno due cose fondamentali. Marazzi le va ripetendo in tutte le interviste: un aiuto non deve arrivare necessariamente dal proprio compagno, anzi, se arriva da un uomo esterno e amico, può essere anche meglio. Se hanno gli strumenti culturali per affrontare la cosa e soprattutto l'aiuto e la vicinanza delle persone giuste, le donne possono fare i conti con la depressione post parto e uscirne bene, cercando di stare male il meno possibile.
Ultimamente escono particolarmente bistrattati dal tempo e da quello che si muove in giro, ma i giornali fanno ancora il loro sporco lavoro, e non lo fanno male, nonostante quel che si dice in giro. A questo film è stato dedicato molto spazio, ed è una bella cosa. Il Fatto Quotidiano, che io non amo, ospita però un progetto molto interessante - Tutto parla di voi -, che parte dal film per arrivare al pubblico in un'altra forma. Marazzi è bravissima a immaginare queste iniziative, a giocare con i linguaggi, a far uscire il cinema fuori dalla sua vita e a trovarne altre. Il Fatto ha il merito non proprio trascurabile di ospitarla.
Se le prime cose da pensare e da dire e da scrivere sono queste, forse però nel film c'è qualcosa che non va. Dov'è il film? Perché non ne stiamo ancora parlando? Qual è l'obiettivo del film? Fare un film didattico? Fare un "film progresso"? Può funzionare? In che misura, sacrificando cosa?
È evidente a qualsiasi spettatore dotato di qualche briciola di memoria che soprattutto la parte di fiction di Tutto parla di te non va; che Charlotte Rampling non ha mai recitato così male, la fotografia non è molto meglio di quella di un buon prodotto per la televisione, che Alina Marazzi ci aveva abituati a ben altro. Il distacco tra le interviste, quelle sì, memorabili, e le parti recitate è enorme.
In un'intervista trovata su linkiesta, Marazzi rivela che avrebbe voluto le foto di Francesca Woodman per il film; delle foto fanno parte del materiale che compone il film, insieme a molte altre cose, secondo lo stile di Marazzi. I genitori di Woodman non hanno dato il loro consenso allo sfruttamento dell'opera della figlia per questo film, e Marazzi ha contattato un'altra fotografa, Simona Ghizzoni, che ha realizzato, cercando di avvicinarsi alle atmosfere delle foto di Woodman, delle foto meravigliose, per fortuna non troppo simili a quelle di Woodman, che da fenomeno fotografico autentico sta diventando luogo comune della fotografia per sovraesposizione di parole oltre tutto, più che di immagini. Ghizzoni lavora per Contrasto; su Repubblica c'è una foto gallery che la riguarda.
Non si riesce a parlare di questo film per il film. Probabilmente perché il film non era così importante. E si vede. Più importante era provare a inserire una sceneggiatura e degli attori in una struttura innovativa ma già collaudata. Il risultato non è apprezzabilissimo, ma si può migliorare. E comunque il tentativo andava fatto. Più importante ancora era proseguire il discorso riguardo a un femminismo moderno, grato al femminismo degli anni '70 ma libero di muoversi adesso. Questo ultimo obiettivo mi sembra brillantemente raggiunto. Credo che Vogliamo anche le rose abbia davvero fatto muovere delle persone da casa. Vogliamo anche le rose, nel suo piccolo, certo, è stato un film dirompente, che ha contribuito a creare il clima per provare a ricreare in Italia una coscienza di genere. Tutto parla di te è meno potente, ma strutturato ugualmente bene, e se il film si dimentica, le interviste restano, la sensazione di aver capito qualcosa in più rimane, insieme alla consapevolezza che ora l'argomento va affrontato e studiato meglio individualmente, come coppia e come piccolo sistema sociale al quale ognuno ritiene di appartenere.
Su Sentieri Selvaggi c'è un'intervista interessante a Marazzi e alla co-protagonista Elena Radonicich.
Il film si conclude con una frase a effetto, dispiace dirlo, che grida vendetta e che mai mi sarei aspettato da Marazzi, da Dario Zonta che ha scritto con lei la sceneggiatura e che mi ha portato subito a pensare a quali saranno state le reazioni a Hollywood Party di fronte a una frase del genere.
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