Terramatta - Costanza Quatriglio
Terramatta - Costanza Quatriglio - 2012 - 74'
Di solito lascio che la data sia stabilita in automatico da blogger, e me ne importa poco; in questo caso mi fa piacere ricordarla perché è stata una bella serata, con belle persone e un bel film. Ieri sera, 8 aprile 2013, nella sala 1 del cinema Sivori a Genova abbiamo assistito alla proiezione di Terramatta, l'ultimo lavoro di Costanza Quatriglio, in assoluto tra le migliori documentariste degli ultimi anni. La serata è stata organizzata in collaborazione dal Club amici del cinema e dall'Associazione per un archivio dei movimenti. Tutto bello, ancora più bello che la sala fosse piena, senza praticamente nessuna promozione, almeno locale, e grazie solo alla forza del lavoro di queste due associazioni e del film della Quatriglio. Non tutti gli spettatori presenti erano in sala come appassionati di cinema, qualcuno era lì come appassionato di letteratura - il libro di Vincenzo Rabito che il film prova a raccontare è stato un piccolo caso editoriale -, qualcun'altro come appassionato di storia contemporanea. Nessuna categoria di amanti è rimasta delusa. Non mi piace parlare con toni entusiastici e definitivi di nulla, c'è sempre spazio per qualche sfumatura più interessante. Ma è giusto abbandonarsi alla sorpresa felice di ritrovarsi circondato da belle persone, attente e guardare insieme un film coraggioso.
Fine della stucchevole, entusiasta, personalissima, cronaca della serata. Un accenno sulla storia del progetto: Giovanni, uno dei figli di Vincenzo Rabito, ha portato per anni con sé la prima stesura dattiloscritta del lavoro del padre, avendone compreso la potenza. Ha provato la strada della pubblicazione con diverse tra le più prestigiose case editrici italiane, nessuna delle quali è rimasta indifferente al testo. Nessuna tra queste però ha avuto il coraggio di puntare su un testo giudicato illeggibile e in ultima analisi impubblicabile. Non possiamo affermarlo con sicurezza, ma probabilmente anche Einaudi avrebbe rifiutato la pubblicazione per gli stessi motivi, del resto il testo è effettivamente molto complesso. La svolta l'ha data il Premio Pieve, il premio che ogni anno viene assegnato dall'Archivio dei Diari di Pieve Santo Stefano. Nel 2000, emozionando giuria e abitanti di Pieve, vince appunto l'autobiografia diaristica di Vincenzo Rabito. Da lì il passo verso la pubblicazione con Einaudi è breve. Il film di Quatriglio parte quindi anch'esso dalla città dei diari, del resto non nuova a questi suggerimenti.
Il film: Quatriglio lavora per la prima volta con pochissime immagini originali e si confronta con il materiale d'archivio dell'Istituto Luce, che infatti coproduce il film. Terramatta risente di questa scelta e spesso le immagini non riescono a garantire un binario espressivo potente come le parole del diario di Rabito. L'impressione generale che si riceve dalla prima visione è quella di un film ineccepibile sul piano storico, formalmente attentissimo, molto sentito, con una voce fuori campo tra le più efficaci che ricordi, ma scollato sul piano delle immagini; un film coraggioso all'estremo in tutte le sue componenti, ma che probabilmente avrebbe potuto osare di più nelle immagini, rinunciare a qualche ripresa d'archivio e cercare di risolvere le sequenze più forti con delle invenzioni. La scena del racconto dello stupro, che rinuncia alle immagini dell'Istituto Luce è memorabile non solo per le parole di Rabito, ma anche per le scelte di regia di Quatriglio.
Il problema sostanziale del film, che resta un documentario molto bello, ben fatto, in cui si riconoscono professionalità eccellenti, è che non riesce a inserire il ritmo e la potenza delle parole - soprattutto perché si tratta di parole caratterizzate dall'impetuosità dell'invenzione - nel percorso del film. Terramatta è un film sperimentale che paradossalmente è troppo generoso verso la scrittura e la storia di Rabito e nel confronto con quell'epica, come lo stesso Rabito a un certo punto la definisce, perde duramente. Non era facile. Anche senza voler leggere l'edizione Einaudi del libro, già una riduzione delle tremila pagine scritte a macchina, basta leggere questa nota del figlio Giovanni per rendersi conto della mole enorme di materiale, di vita e di storia che c'è nella storia di Rabito. La nota è inserita nel sito del progetto Terramatta, che è pieno di altre informazioni sul documentario e sul libro. Detto questo, ribadisco, Terramatta è un film estremamente coraggioso, fatto molto bene, con due sequenze memorabili - quella dello stupro e quella del viaggio -. La voce fuori campo di Roberto Nobile è strordinaria e il fim regge più di un'ora senza stancare mai.
Le altre due questioni fondamentali sono l'approccio storico al film e alla storia di Rabito e la questione del confronto con una lingua che richiede attenzioni diverse, perché richiede un ascolto particolare, un ritmo diverso.
La precisione storica di Terramatta è totale, non c'è la minima approsimazione. Non è così banale trovare tanta accuratezza in un documentario che non ha né l'ambizione, né la necessità di presentarsi come un documento storico. La precisione dei fatti raccontati, lo sguardo critico di Rabito, decifrato da Quatriglio e dalla produttrice Ottaviano, inserisce il film in una cornice di autorevolezza non solo necessaria alla conservazione storica del film, ma che aumenta a dismisura la godibilità del film, che in questo modo approfitta realmente delle immagini dell'Istituto Luce e non le usa come semplice riempitivo.
La questione della lingua è, se possibile, ancora più complessa. Quatriglio ha voluto misurarsi con un film che non può non essere sperimentale. Ha dato alle parole di Rabito un ritmo e una sonorità il più possibile antichi, e il gioco funziona. Quello che non funziona, ed è il problema di un film altrimenti esemplare, è il rapporto con le immagini. Questa lingua è troppo forte per confrontarsi senza stravincere con immagini d'archivio già nella memoria collettiva. Una lingua nuova richiedeva immagini nuove, sperimentali anch'esse. Tutto il film risente di questa scelta e resta a metà strada tra un documentario sperimentale e un'analisi filmica storico linguistica. Va tutto bene, ce ne fossero film così, ma probabilmente abbiamo perso un vero capolavoro. Quatriglio è capacissima di girare immagini sconvolgenti e mai viste per raccontare la storia di Rabito, che è la storia che conosciamo ma da un punto di vista e con una lingua ancora non metabolizzata da nessun potenziale spettatore.
Di solito lascio che la data sia stabilita in automatico da blogger, e me ne importa poco; in questo caso mi fa piacere ricordarla perché è stata una bella serata, con belle persone e un bel film. Ieri sera, 8 aprile 2013, nella sala 1 del cinema Sivori a Genova abbiamo assistito alla proiezione di Terramatta, l'ultimo lavoro di Costanza Quatriglio, in assoluto tra le migliori documentariste degli ultimi anni. La serata è stata organizzata in collaborazione dal Club amici del cinema e dall'Associazione per un archivio dei movimenti. Tutto bello, ancora più bello che la sala fosse piena, senza praticamente nessuna promozione, almeno locale, e grazie solo alla forza del lavoro di queste due associazioni e del film della Quatriglio. Non tutti gli spettatori presenti erano in sala come appassionati di cinema, qualcuno era lì come appassionato di letteratura - il libro di Vincenzo Rabito che il film prova a raccontare è stato un piccolo caso editoriale -, qualcun'altro come appassionato di storia contemporanea. Nessuna categoria di amanti è rimasta delusa. Non mi piace parlare con toni entusiastici e definitivi di nulla, c'è sempre spazio per qualche sfumatura più interessante. Ma è giusto abbandonarsi alla sorpresa felice di ritrovarsi circondato da belle persone, attente e guardare insieme un film coraggioso.
Fine della stucchevole, entusiasta, personalissima, cronaca della serata. Un accenno sulla storia del progetto: Giovanni, uno dei figli di Vincenzo Rabito, ha portato per anni con sé la prima stesura dattiloscritta del lavoro del padre, avendone compreso la potenza. Ha provato la strada della pubblicazione con diverse tra le più prestigiose case editrici italiane, nessuna delle quali è rimasta indifferente al testo. Nessuna tra queste però ha avuto il coraggio di puntare su un testo giudicato illeggibile e in ultima analisi impubblicabile. Non possiamo affermarlo con sicurezza, ma probabilmente anche Einaudi avrebbe rifiutato la pubblicazione per gli stessi motivi, del resto il testo è effettivamente molto complesso. La svolta l'ha data il Premio Pieve, il premio che ogni anno viene assegnato dall'Archivio dei Diari di Pieve Santo Stefano. Nel 2000, emozionando giuria e abitanti di Pieve, vince appunto l'autobiografia diaristica di Vincenzo Rabito. Da lì il passo verso la pubblicazione con Einaudi è breve. Il film di Quatriglio parte quindi anch'esso dalla città dei diari, del resto non nuova a questi suggerimenti.
Il film: Quatriglio lavora per la prima volta con pochissime immagini originali e si confronta con il materiale d'archivio dell'Istituto Luce, che infatti coproduce il film. Terramatta risente di questa scelta e spesso le immagini non riescono a garantire un binario espressivo potente come le parole del diario di Rabito. L'impressione generale che si riceve dalla prima visione è quella di un film ineccepibile sul piano storico, formalmente attentissimo, molto sentito, con una voce fuori campo tra le più efficaci che ricordi, ma scollato sul piano delle immagini; un film coraggioso all'estremo in tutte le sue componenti, ma che probabilmente avrebbe potuto osare di più nelle immagini, rinunciare a qualche ripresa d'archivio e cercare di risolvere le sequenze più forti con delle invenzioni. La scena del racconto dello stupro, che rinuncia alle immagini dell'Istituto Luce è memorabile non solo per le parole di Rabito, ma anche per le scelte di regia di Quatriglio.
Il problema sostanziale del film, che resta un documentario molto bello, ben fatto, in cui si riconoscono professionalità eccellenti, è che non riesce a inserire il ritmo e la potenza delle parole - soprattutto perché si tratta di parole caratterizzate dall'impetuosità dell'invenzione - nel percorso del film. Terramatta è un film sperimentale che paradossalmente è troppo generoso verso la scrittura e la storia di Rabito e nel confronto con quell'epica, come lo stesso Rabito a un certo punto la definisce, perde duramente. Non era facile. Anche senza voler leggere l'edizione Einaudi del libro, già una riduzione delle tremila pagine scritte a macchina, basta leggere questa nota del figlio Giovanni per rendersi conto della mole enorme di materiale, di vita e di storia che c'è nella storia di Rabito. La nota è inserita nel sito del progetto Terramatta, che è pieno di altre informazioni sul documentario e sul libro. Detto questo, ribadisco, Terramatta è un film estremamente coraggioso, fatto molto bene, con due sequenze memorabili - quella dello stupro e quella del viaggio -. La voce fuori campo di Roberto Nobile è strordinaria e il fim regge più di un'ora senza stancare mai.
Le altre due questioni fondamentali sono l'approccio storico al film e alla storia di Rabito e la questione del confronto con una lingua che richiede attenzioni diverse, perché richiede un ascolto particolare, un ritmo diverso.
La precisione storica di Terramatta è totale, non c'è la minima approsimazione. Non è così banale trovare tanta accuratezza in un documentario che non ha né l'ambizione, né la necessità di presentarsi come un documento storico. La precisione dei fatti raccontati, lo sguardo critico di Rabito, decifrato da Quatriglio e dalla produttrice Ottaviano, inserisce il film in una cornice di autorevolezza non solo necessaria alla conservazione storica del film, ma che aumenta a dismisura la godibilità del film, che in questo modo approfitta realmente delle immagini dell'Istituto Luce e non le usa come semplice riempitivo.
La questione della lingua è, se possibile, ancora più complessa. Quatriglio ha voluto misurarsi con un film che non può non essere sperimentale. Ha dato alle parole di Rabito un ritmo e una sonorità il più possibile antichi, e il gioco funziona. Quello che non funziona, ed è il problema di un film altrimenti esemplare, è il rapporto con le immagini. Questa lingua è troppo forte per confrontarsi senza stravincere con immagini d'archivio già nella memoria collettiva. Una lingua nuova richiedeva immagini nuove, sperimentali anch'esse. Tutto il film risente di questa scelta e resta a metà strada tra un documentario sperimentale e un'analisi filmica storico linguistica. Va tutto bene, ce ne fossero film così, ma probabilmente abbiamo perso un vero capolavoro. Quatriglio è capacissima di girare immagini sconvolgenti e mai viste per raccontare la storia di Rabito, che è la storia che conosciamo ma da un punto di vista e con una lingua ancora non metabolizzata da nessun potenziale spettatore.
L'ostinazione di Vincenzo Rabito nel mettere su carta la storia della sua vita è una delle cose che ha maggiormente "impressionato" l'archivio dei diari. Come sosteneva Saverio Tutino che nel 1984 ha ideato e fondato l'Archivio di Pieve, "pensavamo di aver visto tutto dopo sedici anni e poi è arrivato Rabito".
RispondiEliminaEd è proprio impressionante il suo dattiloscritto, scolpito sulle pacene, come si vede dall'immagine contenuta in questo articolo http://www.lanazione.it/arezzo/spettacoli/cinema/2012/09/05/767674-arezzo-rabito-film-diari-pieve-tutino.shtml
Loretta Veri