È stato il figlio - Daniele Ciprì
È stato il figlio - Daniele Ciprì - 2012 - 90'
Siamo andati al cinema, io in particolare, carichi di aspettative; Ciprì che vuole allargare il pubblico mi sembrava e mi sembra ancora un'ottima idea. Tutto prometteva benissimo insomma, perfino la sala era la stessa del film migliore dell'anno scorso (Miracolo a Le Havre), tranne che per la puzza di pesce, per fortuna questa volta assente. È stato il figlio invece non è il capolavoro dell'anno, probabilmente non sarà nemmeno tra i film memorabili di questa nuova stagione, nonostante i premi, nonostante Ciprì sia comunque un genio, e un direttore della fotografia straordinario, tra i migliori al mondo, nonostante si sia fatto per una volta un investimento di produzione importante per un film comunque alla ricerca di un suo pubblico - e questo aprirebbe ancora una volta un lungo discorso sul ruolo dei produttori e un altro ancora più lungo su quello della critica.
A titolo statistico: la piccolissima sala genovese di cui si parlava prima era strapiena, ma è una sala di spettatori già conquistati. E sempre a titolo statistico, nessuno di loro aveva all'uscita lo stesso entusiasmo che aveva in coda, prima di prendere il biglietto.
Fare paragoni tra È stato il figlio e "Ciprì e Maresco" nelle loro varie declinazioni è corretto solo parzialmente. La volontà di sganciarsi da quel percorso e l'inevitabilità di restarci dentro sono state esplicitate con sincerità e chiarezza da Ciprì; tornarci sopra significa ingessare la visione. Ciprì viene da anni di grottesco Cinico, ora è alla ricerca, anche teorica, di una platea più ampia, e non ha nessuna intenzione di rinnegare il passato. Maresco evidentemente non è d'accordo su questa impostazione, non crede che la verità possa essere raccontata così. A giudicare questo film, verrebbe da dargli ragione, ma penso si debba guardarlo però come una tappa di avvicinamento a un cinema diverso, che non voglia dimenticare Lo zio di Brooklin e tutto il resto, ma che si debba allontanare da quella programmaticità.
Il peccato originale di È stato il figlio è proprio la programmaticità dell'operazione, di cui si sente la freddezza. Non metto in dubbio l'urgenza di Ciprì nel voler fare questo film, e probabilmente nel volerlo fare più o meno così, ma non è possibile aspettarsi potenza, coinvolgimento, disperazione, e tanto meno comicità, da un film che si propone di riunire il grottesco di Cinico Tv, la presenza della star Servillo, il teatro siciliano, qualche riflessione non banale sul ruolo della narrazione nella società e nel cinema, la fotografia iperrealista, la cornice fiabesca, una trama forte, una durata da film che non sfora di un minuto, uno, addirittura la presenza dell'attore simbolo di certo cinema euro-sudamericano (Castro), ah, e la critica sociale. Troppo. Troppo per un film che doveva essere violento, imperfetto, altrettanto stratificato, ma più informe.
La fotografia è straordinaria, brillano gli occhi. Non sono nemmeno così d'accordo sulla stroncatura, abbastanza diffusa, dell'interpretazione di Servillo, che fa il suo. Gli altri interpreti sono anche migliori; il film strappa qualche risata, qualche riflessione a bassa voce in sala, un salto sulla sedia nel finale, perché anche se tutti ci aspettiamo il sacrificio del figlio, nessuno si aspetta quell'esplosione di violenza "nonnesca" e quella rassegnazione materna.
La ricerca del pubblico, del cinema popolare che non rinuncia a se stesso, non può funzionare così. Forse è necessario abbandonarsi un po', forse si potrebbe essere meno popolari o meglio meno populisti, avere più fiducia nel pubblico. Davanti a un film meno grottesco, meno facile, meno "accompagnato", il pubblico si sarebbe emozionato, spaventato, commosso, divertito, di più.
Procacci come (quasi) sempre fa un lavoro enorme; del film si è parlato ovunque. Non so com'è andato in sala, ma l'eco che ha accompagnato l'uscita è di quelle dedicate di solito a film con altri budget e altre ambizioni. Tutta la critica mainstream, che non si capisce più a che cosa serva, ha inseguito le sue notizie, le sue interpretazioni, i suoi pensieri, senza neppure cercare le proprie.
Due recensioni interessanti dai soliti siti, più un intervista da Repubblica.
Gli Spietati
Cineclandestino
Ciprì - Repubblica
Siamo andati al cinema, io in particolare, carichi di aspettative; Ciprì che vuole allargare il pubblico mi sembrava e mi sembra ancora un'ottima idea. Tutto prometteva benissimo insomma, perfino la sala era la stessa del film migliore dell'anno scorso (Miracolo a Le Havre), tranne che per la puzza di pesce, per fortuna questa volta assente. È stato il figlio invece non è il capolavoro dell'anno, probabilmente non sarà nemmeno tra i film memorabili di questa nuova stagione, nonostante i premi, nonostante Ciprì sia comunque un genio, e un direttore della fotografia straordinario, tra i migliori al mondo, nonostante si sia fatto per una volta un investimento di produzione importante per un film comunque alla ricerca di un suo pubblico - e questo aprirebbe ancora una volta un lungo discorso sul ruolo dei produttori e un altro ancora più lungo su quello della critica.
A titolo statistico: la piccolissima sala genovese di cui si parlava prima era strapiena, ma è una sala di spettatori già conquistati. E sempre a titolo statistico, nessuno di loro aveva all'uscita lo stesso entusiasmo che aveva in coda, prima di prendere il biglietto.
Il peccato originale di È stato il figlio è proprio la programmaticità dell'operazione, di cui si sente la freddezza. Non metto in dubbio l'urgenza di Ciprì nel voler fare questo film, e probabilmente nel volerlo fare più o meno così, ma non è possibile aspettarsi potenza, coinvolgimento, disperazione, e tanto meno comicità, da un film che si propone di riunire il grottesco di Cinico Tv, la presenza della star Servillo, il teatro siciliano, qualche riflessione non banale sul ruolo della narrazione nella società e nel cinema, la fotografia iperrealista, la cornice fiabesca, una trama forte, una durata da film che non sfora di un minuto, uno, addirittura la presenza dell'attore simbolo di certo cinema euro-sudamericano (Castro), ah, e la critica sociale. Troppo. Troppo per un film che doveva essere violento, imperfetto, altrettanto stratificato, ma più informe.
La fotografia è straordinaria, brillano gli occhi. Non sono nemmeno così d'accordo sulla stroncatura, abbastanza diffusa, dell'interpretazione di Servillo, che fa il suo. Gli altri interpreti sono anche migliori; il film strappa qualche risata, qualche riflessione a bassa voce in sala, un salto sulla sedia nel finale, perché anche se tutti ci aspettiamo il sacrificio del figlio, nessuno si aspetta quell'esplosione di violenza "nonnesca" e quella rassegnazione materna.
La ricerca del pubblico, del cinema popolare che non rinuncia a se stesso, non può funzionare così. Forse è necessario abbandonarsi un po', forse si potrebbe essere meno popolari o meglio meno populisti, avere più fiducia nel pubblico. Davanti a un film meno grottesco, meno facile, meno "accompagnato", il pubblico si sarebbe emozionato, spaventato, commosso, divertito, di più.
Procacci come (quasi) sempre fa un lavoro enorme; del film si è parlato ovunque. Non so com'è andato in sala, ma l'eco che ha accompagnato l'uscita è di quelle dedicate di solito a film con altri budget e altre ambizioni. Tutta la critica mainstream, che non si capisce più a che cosa serva, ha inseguito le sue notizie, le sue interpretazioni, i suoi pensieri, senza neppure cercare le proprie.
Due recensioni interessanti dai soliti siti, più un intervista da Repubblica.
Gli Spietati
Cineclandestino
Ciprì - Repubblica
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