Il primo uomo - Gianni Amelio
Il primo uomo - Gianni Amelio - 2012 - 100'
Non riesco a dimenticare Il ladro di bambini e soprattutto Lamerica, e ogni film di Amelio lo aspetto con l'acquolina e l'immagine di ricordi bellissimi. E invece se Così ridevano possiede una carica emotiva fortissima, pur con qualche ingenuità, Le chiavi di casa e La stella che non c'è si possono infilare tranquillamente nell'armadio dei film riusciti male. Non sono da buttare, ma nemmeno te li metteresti per uscire. Il primo uomo conferma questa flessione, in parte per la stessa tendenza all'indeterminatezza programmatica degli ultimi due film, in parte per difetti propri, relativi alla difficoltà del progetto, e in parte infine per un'inaspettata virata sul gusto televisivo della fotografia e dei movimenti di macchina.
Amelio sta cercando evidentemente una maturità espressiva, più distante dall'aderenza alla realtà dei primi film, e con qualche ambizione introspettiva di troppo. Non si parla mai di film pessimi o completamente scorretti, ché Amelio ha una storia personale in grado di tenerlo al riparo, ma l'indeterminatezza fa presto a diventare ambiguità, nebbia, e alla fine mancanza di appigli contro la noia.
Ne Il primo uomo, in più si confronta con un materiale già profondamente ambiguo, stiracchiato tra le posizioni politiche di Camus e la sua autobiografia. Amelio, l'ha dichiarato più di una volta, ha intrecciato la propria storia con quella di Camus, riferendosi all'infanzia e all'adolescenza dello scrittore, e addirittura alcuni dialoghi provengono dalla memoria di Amelio stesso. Questa partecipazione in alcuni momenti si sente, e il bambino che interpreta Camus spesso è l'attore migliore, lontano dalle pesantezze espressive di molti dei colleghi adulti. Maya Sansa in particolare sembra un po' spaesata, ma è sempre stata un'attrice che sfugge alla comprensione della prima visione; rivedendo il film potrei cambiare idea.
La parte ambientata nell'Algeria colonizzata e non ancora ribelle tecnicamente funziona, ma la storia di Camus ragazzo è molto poco interessante al cinema, se non in funzione di Camus adulto. Il tentativo di renderne popolare, accessibile l'autobiografia si scontra con una serie di semplificazioni che annacquano l'interesse letterario, storico, politico, e con la mancanza totale di avventura che un approccio del genere avrebbe richiesto, a costo magari di qualche digressione dal romanzo. Questo posizionamento a metà ha reso felice la figlia di Camus, che ha parlato con grande rispetto e ammirazione del film e che ricorda Amelio con dolcezza; ha reso felice i produttori che si sono trovati tra le mani un film meno impegnativo per il pubblico di quanto forse si sarebbero aspettati; probabilmente ha deluso tutti quelli che da Amelio si aspettano un'altra cattiveria nell'affrontare la questione algerina, una partecipazione più autoriale nei frammenti di vita preadolescenziale, e in definitiva maggiore coraggio.
Non riesco a dimenticare Il ladro di bambini e soprattutto Lamerica, e ogni film di Amelio lo aspetto con l'acquolina e l'immagine di ricordi bellissimi. E invece se Così ridevano possiede una carica emotiva fortissima, pur con qualche ingenuità, Le chiavi di casa e La stella che non c'è si possono infilare tranquillamente nell'armadio dei film riusciti male. Non sono da buttare, ma nemmeno te li metteresti per uscire. Il primo uomo conferma questa flessione, in parte per la stessa tendenza all'indeterminatezza programmatica degli ultimi due film, in parte per difetti propri, relativi alla difficoltà del progetto, e in parte infine per un'inaspettata virata sul gusto televisivo della fotografia e dei movimenti di macchina.
Amelio sta cercando evidentemente una maturità espressiva, più distante dall'aderenza alla realtà dei primi film, e con qualche ambizione introspettiva di troppo. Non si parla mai di film pessimi o completamente scorretti, ché Amelio ha una storia personale in grado di tenerlo al riparo, ma l'indeterminatezza fa presto a diventare ambiguità, nebbia, e alla fine mancanza di appigli contro la noia.
Ne Il primo uomo, in più si confronta con un materiale già profondamente ambiguo, stiracchiato tra le posizioni politiche di Camus e la sua autobiografia. Amelio, l'ha dichiarato più di una volta, ha intrecciato la propria storia con quella di Camus, riferendosi all'infanzia e all'adolescenza dello scrittore, e addirittura alcuni dialoghi provengono dalla memoria di Amelio stesso. Questa partecipazione in alcuni momenti si sente, e il bambino che interpreta Camus spesso è l'attore migliore, lontano dalle pesantezze espressive di molti dei colleghi adulti. Maya Sansa in particolare sembra un po' spaesata, ma è sempre stata un'attrice che sfugge alla comprensione della prima visione; rivedendo il film potrei cambiare idea.
La parte ambientata nell'Algeria colonizzata e non ancora ribelle tecnicamente funziona, ma la storia di Camus ragazzo è molto poco interessante al cinema, se non in funzione di Camus adulto. Il tentativo di renderne popolare, accessibile l'autobiografia si scontra con una serie di semplificazioni che annacquano l'interesse letterario, storico, politico, e con la mancanza totale di avventura che un approccio del genere avrebbe richiesto, a costo magari di qualche digressione dal romanzo. Questo posizionamento a metà ha reso felice la figlia di Camus, che ha parlato con grande rispetto e ammirazione del film e che ricorda Amelio con dolcezza; ha reso felice i produttori che si sono trovati tra le mani un film meno impegnativo per il pubblico di quanto forse si sarebbero aspettati; probabilmente ha deluso tutti quelli che da Amelio si aspettano un'altra cattiveria nell'affrontare la questione algerina, una partecipazione più autoriale nei frammenti di vita preadolescenziale, e in definitiva maggiore coraggio.
Il film è stato girato in francese, con una coproduzione tipica di questi film, in cui Cattleya è il primo produttore, i francesi, a vario titolo, i secondi e la Rai, che soprattutto distribuisce il film, è presente come produzione (Rai movie) solo a titolo di collaborazione. Chi produce il film è sempre fondamentale, perché incide in ogni caso, a volte di più, a volte di meno, sul risultato finale. In questo caso il peso della produzione mi sembra particolarmente consistente. Cattleya è la casa di produzione che negli ultimi anni ha prodotto, per fare giusto qualche titolo, Mio fratello è figlio unico, Romanzo criminale, un paio di film improbabili di Silvio Muccino, e ancora gli ultimi di Marco Tullio Giordana, romanzo di una strage compreso, qui (Wikipedia) c'è la lista completa. La società è stata fondata da Riccardo Tozzi, già responsabile delle produzioni Mediaset. Il secondo film prodotto dalla neonata Cattleya è stato Un tè con Mussolini, tanto per dire le idee iniziali. A lui si sono aggiunti altri due soci, sempre provenienti da Mediaset e il principale bacino di interesse è proprio il pubblico televisivo (qui, dal loro sito, c'è una pagina pubblicitaria di presentazione piuttosto esplicativa). Questo spiega la lista di film prodotti, il declino di alcuni autori presenti, e la fotografia da fiction de Il primo uomo. Amelio, per storie di partecipazioni ai festival, atteggiamenti padronali generali, ha avuto qualche problema a portare il film a casa nei modi che desiderava; la sua mano si vede e qualche sequenza è molto bella, ma la mano di Cattleya dev'essere pesante da trascinarsi dietro. Il problema non è avere ben presente il pubblico televisivo, i gusti di queste persone e soprattutto i soldi che arrivano dalle televisioni. Il problema è ancora una volta l'impossibilità italiana di fare dei film che arrivino in sala indipendentemente da Mediaset e dalla Rai e dalla loro volontà. E siccome ci trasciniamo dietro ancora un sostanziale monopolio, ancorché con due teste, l'ottimismo fatica molto a emergere.
Il primo uomo soffre di questo peccato, voler fare un film popolare su una materia impegnativa e complessa alle condizioni assurde di questa gente, che di cinema non ha capito mai niente. Non so quanto è giusto dividere questa breve analisi del film in due parti così distanti. D'altra parte un film va visto, goduto e giudicato per quello che viene proiettato. Amelio ha provato a girarlo e io ho provato a vederlo e a parlarne. Questa volta però credo sia stato più giusto parlare anche di altro.
Su cineclandestino c'è una recensione interessante.
Ho evitato di parlare di Camus, dell'Algeria, del terrorismo. Per non glissare completamente: sono molto affezionato a Camus, e comprendo anche le sue posizioni sulla questione algerina. Ma non si torna indietro da una colonizzazione facilmente, di solito purtroppo si paga. Cinematograficamente ho apprezzato moltissimo in questo senso la figura del terrorista. Dà un senso di realtà vedere un terrorista che resta terrorista e non tranquillizza il pubblico cambiando idea, e redimendosi all'ultimo momento.
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