Piedi Larghi
Ci sono momenti in cui entrare in autobus è quasi come entrare in casa, una casa condivisa con degli sconosciuti, o a volte con degli ignari conosciuti, frequenti presenze più o meno costanti. Quando piove le persone entrano in autobus, certo, anch'io lo faccio, come se riemergessero da un tuffo troppo profondo. Più dolcemente invece, entro in autobus se ho bisogno di leggere qualche pagina di un libro: in autobus la concentrazione dev'essere altissima, altrimenti gli sguardi dei passeggeri si fanno subito superiori e accondiscendenti.
I viaggi migliori sono da capolinea a
capolinea, il tempo giusto per una lunga telefonata che sa fermarsi
al momento giusto e che evita di trasformarsi in una telefonata
troppo lunga. Bisognerebbe indicare sulle fiancate, vicino alle
pubblicità, la durata prevista del tragitto; ogni linea sarebbe
chiaramente compresa da tutti come quella migliore per chiamare la
madre – corsa breve –, il padre – corsa brevissima con
interruzione da galleria, – un vecchio amico – corsa lunga
notturna –. Poi bisognerebbe indicare le corse accidentate, in
strade trafficate o dissestate, adatte a telefonate di lavoro o
burocratiche, a tutte quelle telefonate che non si ha nessuna voglia
di fare ma si è obbligati a fare lo stesso.
La maggior parte degli abitanti
dell'autobus passano veloci come si passa per lavoro negli alberghi,
una notte, due al massimo, poi si va via e l'unica preoccupazione è
non dimenticare niente nella stanza. Non c'è scambio, non c'è
curiosità, conta solo sopravvivere, spostarsi, andare da un'altra
parte senza farsi vedere troppo.
Qualcuno invece ha compreso che non
vale la pena vivere da estraneo un tempo quotidiano più o meno lungo
che in ogni caso bisogna vivere. Piedi Larghi era uno di questi. Si
guardava intorno, cercando di scoprire cosa stesse succedendo in
autobus quel giorno o quell'altro e quando non avesse trovato proprio
niente di interessante da seguire, se proprio origliare fosse stato
inutile per la completa assenza di storie, leggeva qualche pagina di
un libro – soprattutto classici della letteratura dell'ottocento –
o tentava di risolvere un pezzo di cruciverba. Mi è sempre sembrato
molto abile con i cruciverba e a volte l'ho invidiato per questo, io
non ho la stessa velocità di memoria, né la stessa pazienza.
Non l'ho mai visto avere a che fare con
un telefono, dubito ne abbia mai posseduto uno, abbiamo viaggiato
insieme sulla stessa linea per cinque anni e sarebbe dovuto succedere
di fare una telefonata o di riceverla. Mai una telefonata. E mai una
persona al suo fianco. Eppure Piedi Larghi, se si eccettua per i
piedi larghi, enormi, era un uomo a suo modo affascinante, forse
dall'aspetto un po' antico, nonostante non si potesse attribuirgli
più di quarant'anni. Le mani grandi e solcate da vene che sembrano
fili elettrici, tanto erano tondeggianti e blu. I capelli castani
corti ordinati naturalmente, non davano mai l'effetto di una
forzatura di carattere. Piedi Larghi era così come appariva: un
quarantenne con occhi marroni grandi, mani grandi, un naso
incredibilmente dritto e abbastanza spazioso da poterci far fare
l'equilibrista a un pulcino e dei piedi enormi.
Non abbiamo mai parlato, nonostante ci
si sia osservati spessissimo. Parlare con Piedi Larghi sarebbe
sembrato come parlare inutilmente, non era un uomo che invitasse alla
conversazione e ho sempre pensato che anche fuori dall'autobus
comunicasse con le persone a lui care con sistemi diversi dalle
parole.
Piedi Larghi è scomparso, forse ha
cambiato città, forse ha cambiato quartiere, forse prende solo un
autobus diverso. Forse è morto o è malato. Ho chiesto a qualche
passeggero abituale, nessuno ne sa nulla. Piedi Larghi è nella
memoria di tutti ma nessuno saprebbe come rintracciarlo. Piedi Larghi
è uscito dalle nostre vite come è uscito dall'autobus. Ormai sono
due mesi che non si vede e due mesi sono lunghissimi per chi prende
lo stesso autobus almeno due volte al giorno.
La città è sempre la stessa, facciamo
le stesse telefonate, lunghe di notte agli amici, brevi ai padri nel
tratto con la galleria. Ogni giorno prendiamo le stesse buche e ci
aggrappiamo come scimmie per non cadere, tutti insieme, come in una
coreografia dalla quale Piedi Larghi è uscito. Se tornasse lo
guarderemmo tutti con riprovazione: non si sparisce così. Ma non
credo che Piedi Larghi tornerà mai.
Al capolinea verso est, dove si sale in
pochi e scendono tutti, perché ci sono gli uffici e i negozi di una
zona ampia della città, è stato piantato un albero già formato, ha
rami forti e nodosi e radici che scavano l'asfalto in profondità e
sono larghe come grondaie. Devo cercare di scoprire di che albero si
tratta.
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