La crisi – sogno della primavera 2015
Per qualche motivo, spinto dalla
curiosità, entro in una specie di enorme garage, un sotterraneo
postindustriale, pieno di persone e rumori. È evidente che devo
sapere, almeno in parte, cosa mi aspetta aldilà, perché sono
tranquillo, ma allo stesso tempo ogni cosa è nuova, tutto è
misterioso.
Si sentono rumori provenire da vari
punti di questo garage labirintico, ma appena entrato mi trovo in
quella che tutti usano e vivono come la sala principale. Il posto
sembra allo stesso tempo molto piccolo eppure enorme, come se fosse
una stanza di un videogioco, di quelli in cui ad ogni passo del
protagonista si apre una porzione nuova di scenario in cui giocare.
Tutto è povero, organizzato alla meno
peggio, ci sono molte luci ma penzolanti dal soffitto senza nessun
lampadario, le lampadine sono disseminate a caso e ognuna rimanda una
luce d'intensità diversa.
Continuando a guardarmi intorno, inizio
a parlare con Mourinho. Si presenta come il capo di questo posto. Non
c'è ragione di credere che non sia realmente Mourinho, il tono di
voce è il suo, l'atteggiamento da vittima arrogante è il suo,
l'espressione da predestinato suo malgrado, il cattolicesimo,
l'intelligenza, il carisma, l'aura da chiagni e fotti, tutto trasuda
Mourinho. Eppure parlandoci, dopo pochissimi istanti, mi rendo conto
che ha solo l'aspetto di Mourinho, ma si tratta di F., il
proprietario e capo assoluto della pizzeria dove ho lavorato per
qualche anno. A F. sono sinceramente affezionato nella realtà, è
una persona buona, e mi ha aiutato molto in parecchi frangenti. Credo
che anche lui sia affezionato a me, nonostante non ci si veda più da
almeno sei o sette anni.
Prendendo l'aspetto di Mourinho
qualcosa deve essere cambiato nel suo carattere: è diventato più
cattivo, più manipolatore, e in effetti, rifletto, l'essere
manipolatorio era il suo difetto più grave anche quando lavoravamo
insieme. Non è più F. ma una cosa diversa, nuova, una persona a cui
devo prendere ancora le misure.
Il posto non ha nome, è semplicemente
un posto. Mourinho mi spiega che tutta la gente è lì per
scommettere sulle proprie abilità in un gioco che si è inventato.
Se si vince al gioco si vincono dei soldi, altrimenti no. Mi puzza
subito di fregatura, ma la curiosità mi spinge a chiedergli di
saperne di più. Mourinho mi risponde, con la faccia sorridente e le
fossette sulle guance che vibrano impazzite, che per saperne di più
devo entrare e giocare.
Entro quindi per la seconda volta nella
sala dove si gioca, nonostante ci fossi già dentro. Stavolta mi
accorgo che l'ambiente è un incrocio tra le atmosfere della Grande
Depressione e una sala d'oppio, tutto trasferito in una canzone dei
Joy Division. Le voci delle persone presenti creano un sottofondo
indistinguibile, si riconoscono solo alcuni toni lamentosi, altri
rassegnati, sembra di ascoltare uomini immersi in uno stagno come
rane.
Il gioco è già iniziato – capirò
poi che in realtà non si ferma mai e che non ha più un inizio – e
nessuno lo osserva, tutti partecipano in qualche modo, tranne
Mourinho che siede su una poltrona sbrindellata ma molto imponente,
considerato il luogo. Da lì, seduto come un nuovo Kurtz, dà
istruzioni, detta il ritmo, interrompe, fa ripartire, controlla il
tempo, fa alzare e muovere i partecipanti, li esclude dal gioco.
Dagli sguardi dei partecipanti e di
Mourinho mi è chiaro che ho ancora poco tempo per capire, poi dovrò
giocare o andarmene.
Le regole
Il gioco consiste nell'afferrare al volo, con una sola mano, una pallina da tennis malconcia – ma questo è accessorio – tirata da un africano, posto in piedi alla destra di Mourinho, verso i giocatori, seduti di fronte su delle sedie poste in file come in una platea.
I giocatori non possono alzarsi ma
devono afferrare la pallina stando seduti. Il tronco deve restare
appoggiato allo schienale della sedia.
È possibile, se ci si riesce
stando seduti e allungando solo il braccio, “rubare” il lancio
destinato al giocatore posto di fianco.
Chi afferra la pallina vince dei
soldi.
Il gioco ha delle fasi circolari, come il Bingo. I primi lanci sono più semplici, tirati più lenti e chi afferra la pallina vince pochi soldi. Il montepremi aumenta in maniera proporzionale alla violenza dei lanci.
Al quinto lancio non afferrato da nessuno il gioco ricomincia da capo.
Chi non afferra un lancio a lui destinato dal battitore perde dei soldi. Chi non afferra più lanci consecutivi perde i soldi del primo lancio moltiplicati per il secondo (per il terzo, il quarto e così via).
Su una tabella posizionata alla sinistra di Mourinho sono segnati i punteggi dei giocatori, i montepremi previsti per ogni lancio afferrato e i debiti per ogni lancio mancato. Un altro africano è preposto all'aggiornamento della tabella in tempo reale.
Le sedie hanno un prezzo, da
pagare all'entrata, stabilito secondo la loro posizione. La prima
fila costa più della seconda, che costa più della terza e così
via. Le prime file hanno molte più probabilità di afferrare la
pallina da tennis.
La sedia va pagata ogni volta che
il gioco ricomincia.
Chi compra la sedia per un tempo
stabilito, oltre a pagare in anticipo, si impegna a giocare per
tutto il tempo per cui ha pagato e non può abbandonare il gioco.
Il gioco, con le interruzioni per
i diversi turni, dura ventiquattro ore. Il garage è sempre aperto.
Il battitore cambia ogni quattro ore, senza bisogno di interrompere il gioco.
L'interpretazione delle regole –
descrizione della realtà
Mi rendo subito conto che il battitore
africano è un energumeno capace di tirare la pallina dolcemente tra
le mani del giocatore che si vuole far recuperare, per permettergli
di giocare ancora, o di tirare delle saette che spaccano la faccia al
giocatore che si vuole far indebitare. Mourinho parla continuamente
con il battitore tenendo una mano davanti alla bocca, ma è evidente
a chiunque si trovi lì che gli detta i lanci.
I giocatori sono tutti indebitati fino
al collo, molti sono indebitati irrimediabilmente e continuano a
giocare solo perché non hanno più un posto dove andare e lì
possono vegetare e continuare ad accumulare debiti all'infinito.
Mourinho evidentemente non caccia chi non se ne va di propria
iniziativa. Scoprirò solo dopo che i giocatori incapaci di pagare
sono costretti a partecipare a un altro gioco.
Il posto è pieno di africani pagati da
Mourinho. Vivono lì e in buona sostanza sono degli schiavi. Non
hanno alcuna speranza di uscire, nemmeno la conoscono. Sono sempre
stati lì, vivono in funzione della paga di Mourinho che però è
troppo bassa per permettere nient'altro che la vita lì.
I battitori che si danno il cambio sono
dei giganti. Nessuno lo esplicita mai ma oltre al ruolo di battitori
hanno quello di guardie private di Mourinho. Almeno in due lo seguono
ovunque.
Tutti gli altri africani sono comunque
più grossi di qualsiasi giocatore e formalmente si presentano come
giocatori anch'essi. Capisco già dal primo giro che sono pagati da
Mourinho per rubare le prese agli altri giocatori. Mourinho non vende
mai più di tre sedie affiancate a giocatori “veri”. Ogni
giocatore si ritrova così affiancato almeno da un africano che gli
ruberà tutte le prese quando avrà bisogno di recuperare lanci e
soldi, costringendolo ad indebitarsi ancora di più. Soprattutto i
giocatori forti, quelli che rischiano di vincere davvero, sono tenuti
d'occhio e sottoposti a tentativi di furto di prese continuo.
Ho l'impressione che ogni tanto capiti
che qualcuno vinca davvero, ma dev'essere un evento molto raro. Ad
ogni modo quando entra un giocatore forte si nota subito:
innanzitutto è vestito meglio e ha un'aria più sana delle persone
che sono qui, che sono tutte vestite di abiti consumatissimi, vecchi,
e poi puzzano, hanno le facce giallastre e stanche. I giocatori nuovi
invece si muovono veloci. L'idea è di vincere qualcosa e andarsene.
Forse a qualcuno riesce, ma è pieno di gente che ha vestiti che una
volta erano freschi, costosi, che una volta si muoveva veloce e
prendeva le sedie migliori.
I giocatori sono dei poveri cristi
entrati in un gioco che non controllano più e che forse non hanno
mai controllato. Anche qui, chi ha i soldi punta ad averne sempre di
più e chi cerca di farli nella maggior parte dei casi accumula solo
debiti e finisce per lavorare per venire a giocare, perdere altri
soldi ma non abbastanza da smettere di pagare, lavorare per giocare e
ricominciare e così all'infinito, come in quei lavori la cui paga è
così bassa da permettere solo di campare per lavorare. Chi perde
tutto è un fallimento per sé ma anche per Mourinho.
Il gioco finale
Le voci che ho sentito e che continuo a
sentire non sono solo quelle della sala principale. Da altre stanze,
impossibili da vedere senza recarcisi, provengono tonfi e lamenti,
risate, urla, frasi sconnesse che si intrecciano così tanto ai mille
rumori che ci sono nel garage da essere incomprensibili.
Chi non è in grado di pagare perché
ha già pagato tutto può – ma in realtà è costretto dalle
circostanze e anche dalla forza bruta degli schiavi africani –
partecipare alla versione individuale dello stesso gioco. La cosa è
presentata come un'imperdibile occasione: hai perso tutto? Non
preoccuparti. Invece di aspettare che la pallina arrivi dalle tue
parti, vieni a giocare uno contro uno con un battitore: un sistema
sadico per ammazzare chi non serve più nella sala principale del
garage. I giocatori muoiono per le lesioni interne causate dai colpi
terrificanti dei lanci del battitore che hanno di fronte. La speranza
è di morire abbastanza in fretta, ma il tempo non passa mai.
Mourinho ordina chi può essere
invitato al gioco individuale, chiamato dai giocatori “gioco
finale” con scarsa fantasia, ma non si fa vedere mai nelle stanze
piccole dove a colpi di palline da tennis vengono eliminati i
giocatori inutili.
La partita
Mi ritrovo a giocare e sono seduto
nella quinta o nella sesta fila, non ricordo. Davanti a me ci sono i
giocatori più forti, i nuovi. Dietro posso sentire la puzza dei
giocatori più vecchi, che si allontanano dal battitore ogni giorno
che passa e hanno già una vita che è solo l'ombra dell'esistenza
dignitosa che conducevano prima.
Non sono nelle prime file ma sono nuovo
anch'io, e dopo i primi lanci lenti riservati alle prime file, il
battitore mi prende di mira e destina dalle mie parti tre lanci lenti
che afferro facilmente. So che è una trappola ma sono felice come
uno stupido e qualcosa dentro di me gioisce per la vittoria. Sul
tabellone aumenta il mio credito. Dopo mezz'ora di gara sono tra i
primi per guadagni e Mourinho mi deve più di mille euro.
I lanci si fanno più tesi e veloci e
ora qualche lancio è indirizzato anche verso i poveracci delle
ultime file. Uno si alza a un certo punto e piange. L'africano di
fianco a lui lo rimette a sedere. Dopo qualche minuto un lancio lo
prende in faccia e lo fa sanguinare senza che provi nemmeno a fermare
la pallina o almeno a scansarla. Quell'uomo, non avrà più di
quarant'anni, è morto e lo sa.
Il battitore ora lancia quasi a tutta
potenza e sono moltissimi i giocatori che hanno gli occhi neri, le
dita rotte per cercare la presa, il naso sanguinante, le labbra
spaccate.
Gli africani in platea giocano
sporchissimo, sbilanciando gli altri giocatori, rubando palline anche
due sedie oltre quella dove sono seduti. Non esiste un arbitro. Se ti
fai fregare vuol dire che era possibile farlo.
Sto perdendo e non prendo più una
pallina da almeno un'ora. Intorno a me la puzza di sudore si è fatta
insopportabile. Ho pagato per tre ore e perderò molto più di quanto
abbia mai avuto.
Al quarto turno non ricevo più nessun
lancio lento, altri giocatori sono arrivati e tocca a loro essere
inseriti nel gioco, godere di qualche attimo di felicità, credere
per qualche minuto che riusciranno ad alzarsi con qualche soldo in
più di quando sono entrati e con la faccia ancora intera.
Perdo ormai seimila euro e non ho mai
avuto quella cifra tutta insieme. Voglio solo andarmene e pensare a
chi chiedere un prestito per pagare il prima possibile questo pezzo
di merda e provare a dimenticare quanto sono stato coglione. Non sono
più concentrato e una pallina mi prende tra lo zigomo destro e il
naso. Non saprei dire cosa si rompe ma qualcosa ha fatto un rumore
strano.
Riesco a vedere dopo qualche minuto che
Mourinho mi indica e dice qualcosa al battitore. Sono molto
preoccupato. Se vuole farmi male non sono in grado di difendermi ed è
capace di cambiarmi la faccia per sempre. Invece comincio a ricevere
lanci lentissimi, l'africano alla mia sinistra si gratta un ginocchio
e non prova nemmeno a infastidirmi. Piano piano recupero, ma non mi
fido. Alla fine delle tre ore pagate ho perso trecento euro. Vado fa
Mourinho per mettermi d'accordo sul pagamento, non ho trecento euro
dietro e dubito si possa pagare con il bancomat.
Mourinho abbandona per un attimo la
poltrona e mi fa fare due passi nel garage. Mi spiega che per pagare
devo andare nella trattoria di fronte, lì posso usare anche il
bancomat. Mi dice di non tornare mai più e che non può permettersi
di essere generoso con i giocatori o nessuno più pagherebbe.
Mi sento in colpa per i morti lapidati
dalle palline, per le persone rovinate dai debiti per sempre, per gli
africani costretti a partecipare a questo massacro, vittime anche
loro.
Mourinho si accorge di questi pensieri
e mi ripete di non tornare mai più.
Mi avvio verso l'uscita ma mi richiama.
Mi dice che la pizzeria è fallita, che deve sopravvivere anche lui e
che non è una bella vita. Chiagni e fotti, penso. Sono una foglia di
fico che copre il gioco dei soldi e della miseria e mi sento ancora
più coglione. Però lo ascolto. Mi ha salvato la vita dopo avermela
incasinata, anche questo fa parte del gioco. Decide lui chi si salva
e chi no.
Finalmente il lavaggio dell'anima del
capitalista finisce, come erano finiti i turni del gioco. Esco e vado
a pagare.
Il
sogno c'è stato davvero, per l'esattezza il 30 marzo 2015. Questa è
la sua riscrittura ma mi sono limitato solo a rendere più precisi i
particolari.
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