In treno












































Questa vorrebbe essere la presentazione di due personaggi, nelle intenzioni futuri protagonisti di una serie di racconti, o meglio del racconto della loro esistenza. 
La scrittura è molto migliorabile, ne sono consapevole, ma da qualche parte bisogna pur cominciare. Ci sarà tempo per scrivere cose migliori. 
Qualsiasi commento è davvero molto apprezzato. 


Il treno era completamente vuoto, con l'eccezione di una donna grassa vestita di verde e del capotreno in uno scompartimento della carrozza cinque, e di un uomo mal vestito e di una ragazza seduta alla sua sinistra in un altro scompartimento della carrozza sette.

L'uomo continuava a osservare alternativamente la ragazza e il panorama che scorreva fuori dal finestrino alla sua destra. Guardare la ragazza gli imponeva di girare la testa in modo innaturale, senza nessuna scusa che potesse sembrare plausibile.

Ormai viaggiava da quasi cinque giorni. Non gli riusciva di distinguere le ore l'una dall'altra, né un paesaggio dall'altro. Già al quarto giorno di viaggio riusciva a riconoscere solo la differenza tra la luce e il buio. Ora si trovava nel momento di passaggio tra il pomeriggio e la notte, un lungo interminabile tramonto da qualche parte in Toscana. Il treno non faceva fermate e se le faceva lui non ci prestava attenzione, la sua era ancora molto lontana, avrebbe preso altri treni, almeno una nave. Finalmente tornava a casa. Dal finestrino alla sua destra notò una stella e si chiese se fosse la stella polare o quella stella che forse si chiama polare, la stella insomma che brilla più delle altre, che compare per prima e illumina la notte più delle altre. Non seppe rispondere alla domanda. Guardò di nuovo la ragazza e il finestrino che c'era dal lato di lei, non c'erano stelle lì. Una qualche cazzo di stella più importante doveva pur essere quella che vedeva dal suo lato e che, con l'aiuto decisivo dei lampioni, rischiarava la costa e i tratti di mare visibili. Tra poco non si sarebbe visto più nulla.

Si girò di nuovo verso la ragazza e stavolta lei gli sorrise. Non se l'aspettava. Non era molto bello, per di più era vestito male e non si lavava decentemente da quasi una settimana. Si vede che aveva conservato uno sguardo attraente, nonostante i quarantatré anni, i pochi capelli e gli ultimi tempi faticosi. Del resto era su quel treno per completare il ritorno a una vita decente, nel mondo come tutti gli altri. Era sempre stato piuttosto imponente. Ad alcune donne questo piaceva, tutte quelle che non lo trovavano rozzo, che non giudicavano le sue mani enormi in ritardo di cinquant'anni per il tempo in cui vivevano.

Rispose al saluto della ragazza con un sorriso e ne approfittò per guardarla meglio. Era un po' imbarazzata mentre lo faceva e questo la rendeva più affascinante. Si toccò i capelli biondi, la faccia da bianchissima si fece più colorita, simile alla frutta che abbia preso poco sole. Con un cenno della mano le chiese di spostarsi di fronte a lui. Lei non si mosse, ma continuò a guardarlo e a fare piccoli movimenti con le mani, la faccia, a muovere i piedi per l'imbarazzo. Ripeté lo stesso gesto con la mano aggiungendo un sorriso tranquillizzante che non gli riuscì benissimo ma che servì allo scopo. La ragazza bionda si alzò e si sedette di fronte a lui. Avrebbe dovuto parlare ma tutti gli anni passati a parlare molto poco, e in lingue sempre diverse, che conosceva poco, gli avevano fatto dimenticare come si inizia una conversazione con una ragazza giovane e bionda, che arrossisce ai sorrisi. Sarebbe stato meglio se avesse iniziato a parlare lei, ma il colore del viso, sempre più rosso, sembrava escludere questa possibilità.

Certo era molto bella, pensò. E cercò di ricordare il momento in cui si era alzata per godere della sua figura intera. Era molto bella e aveva vestiti che sembravano antichi e che portava con molta disinvoltura, come se fosse anche lei fuori dal tempo. Dall'orlo della gonna si vedevano delle caviglie sottili e gli riuscì subito di immaginare polpacci stretti e cosce nervose e dure. Dal maglione di lana abbondante si intravedeva la forma del seno non tanto grande ma quasi adolescenziale, nonostante la ragazza dimostrasse almeno vent'anni, e forse qualcuno in più.

Uno scossone del treno lo risvegliò dai pensieri e si scoprì eccitato. Suo malgrado, l'erezione era piuttosto vistosa. La ragazza non se n'era accorta, ma i movimenti goffi dell'uomo le rivelarono senza possibilità di equivoci quanto stava succedendo. L'uomo cercò in ogni modo di non cavalcare la volgarità del momento e di evitare a entrambi l'imbarazzo, la cercò infine con gli occhi e la scoprì di nuovo sorridente. Pensò che forse parlare non era in fondo così necessario. Si alzò rapidamente a chiudere le tendine dello scompartimento. Il capotreno era già passato a controllare i biglietti e sul treno continuava a non esserci nessun altro. Tese la mano alla ragazza e fece alzare anche lei, che non oppose resistenza anche se teneva lo sguardo basso. Con l'altra mano le alzò il viso e la baciò sulla bocca come un adolescente al primo appuntamento, senza lingua. Il contrasto tra l'omone e il suo carisma e un bacio da quindicenne quasi la fece ridere. Scoprì ad ogni modo che non l'aveva previsto ma non le era affatto dispiaciuto.

Si spogliarono l'un l'altro velocemente, come chi stesse ritardando a un appuntamento importante. Senza vestiti addosso faceva freddo e lui, anche per mascherare l'odore, indossò di nuovo il maglione nero che portava. Lei cercò di fare lo stesso con il proprio, ma lui glielo tolse dolcemente di mano e le tocco e poi le strinse piano tra le dita i capezzoli ritti dal freddo. La ragazza fece una piccola smorfia di dolore, si fece di nuovo rossa in viso e abbassò la testa verso il pavimento, facendo scorrere i capelli oltre le spalle. Subito dopo alzò lo sguardo e aveva gli occhi di chi fosse stata offesa, si allontanò per il poco spazio che le permetteva lo scompartimento e restò lì per qualche secondo, dando le spalle all'uomo, di nuovo con la testa bassa, le mani incrociate all'altezza del pube.

L'uomo le si avvicinò e l'abbracciò da dietro, facendole sentire il calore del suo corpo ma senza poggiare il suo peso su di lei. Le strinse le mani con una delle sue mani incredibilmente più grandi mentre con l'altra continuava ad abbracciarla lieve. Dopo un po', quando ebbe sentito che la ragazza si fidava di nuovo di lui, la girò in modo da poterle vedere la faccia. Lei aveva sempre le mani incrociate e le spalle leggermente incurvate per il freddo e per l'imbarazzo. Le accarezzò le braccia fino alle mani per scaldarla e poi avvicinò di nuovo entrambe le mani al seno della ragazza. Le appoggiò sulle tette piccole e rimase lì a osservarla ancora per qualche secondo. Con calma iniziò a stringere le mani fino ad avere di nuovo tra i polpastrelli i capezzoli della ragazza, che era rimasta immobile fino a quel momento, limitandosi ad alzare e abbassare la testa, ora guardando lui, ora contandosi le dita dei piedi che restavano sempre dello stesso numero totale. Quando lui iniziò a stringere, alzò la testa e lo fissò improvvisamente negli occhi. Aveva ancora paura. Lui non strinse più forte ma tenne salde le dita attorno ai capezzoli e restituì uno sguardo interrogativo. La ragazza abbassò di nuovo la testa e l'uomo stava per staccare la presa e già pensava di aiutarla a rivestirsi, ma lei alzò di nuovo lo sguardo e pose le sue mani su quelle dell'uomo, che strinse improvvisamente, provocando un piccolo fremito lungo tutto il corpo della ragazza che pure mantenne le sue mani su quelle che le stavano torcendo i capezzoli. Erano passati solo pochi minuti ma ad entrambi sembravano trascorse intere giornate passate a conoscersi.

L'uomo smise di stringere e piegare i capezzoli della ragazza ma tenne le mani sulle sue tette e lei tenne le mani piccole su quelle di lui, grandi quasi più del doppio. Finalmente si rilassarono e si osservarono, muovendosi pochissimo, cercando di scoprire l'uno dell'altra le parti del corpo che non conoscevano, ovvero quasi tutte. L'uomo vide che la ragazza aveva dita sottili e unghie tagliate corte, che aveva gli occhi castani con qualche riflesso verde, forse aiutato dalla luce blu della notte. Notò che il freddo le aveva fatto rizzare la peluria sottile e bionda che aveva sulle braccia e che dalle ascelle le colavano però delle piccole e luccicanti gocce di sudore. La ragazza vide che l'uomo aveva le spalle larghe, più rughe di quanto avesse creduto in un primo momento, una lunga cicatrice sul braccio destro. La percorse con la mano sinistra cercando una risposta, una storia che potesse avvicinarli ancora di più, ma lui scosse la testa per dire che non c'era nulla da raccontare.

Le prese la mano sinistra che toccava ancora il suo braccio e subito dopo la destra che era ancora appoggiata sulla sua e gliele portò piano dietro la schiena. Lei lo lasciò fare tranquilla. Con una mano le bloccò i polsi dietro la schiena, senza stringere ma facendole sentire che non sarebbe riuscita con la forza delle braccia a liberarsi, la ragazza non aveva più nessuna voglia di farlo.

Tenendole i polsi fermi dietro la schiena, l'uomo iniziò ad accarezzarla, a scoprire tutte le curve del corpo della ragazza, i fianchi, la linea tra le sopracciglia che aveva un piccolissimo avvallamento proprio sopra la base del naso, l'affossamento grande quasi quanto un dito dell'uomo tra le labbra e il mento. Le accarezzò la faccia e sentì i capelli al di là delle orecchie e quelli che restavano sulla fronte, troppo corti per essere tirati indietro, simili a una corona di cui si fosse sbagliata la misura. Arrivò all'ombelico e la ragazza si ritrasse leggermente con un brivido. L'uomo col dorso della mano continuò a farle sentire una sensazione ruvida ma piacevole lungo tutto l'addome. Le strinse il culo con forza, era freddo da potersi sentire i peli sottilissimi cercare calore nell'aria intorno. Lei si alzò per reazione sulle punte dei piedi ma non cercò nemmeno di liberare le mani.

Continuando ad esplorarle il culo, l'uomo spinse due dita attraverso le gambe strette della ragazza che fu costretta a divaricarle di qualche centimetro, quasi perdendo l'equilibrio nonostante il movimento fosse stato minimo. L'uomo gliele allargò con la mano di qualche centimetro in più e la sostenne mentre ritrovava la stabilità perduta. La ragazza respirò più rumorosamente, come se avesse corso, e l'uomo per qualche secondo si limitò ad osservarla, tenendole solo i polsi fermi, poi riprese ad accarezzarle la pancia fino al pube. La guardò per un secondo negli occhi che lo stavano osservando e le strinse i peli della fica tirando verso il basso. La ragazza piegò immediatamente le ginocchia accostandole l'una all'altra, nel tentativo di chiudere le gambe e proteggersi. L'uomo continuava a tenerle i polsi dietro la schiena e a tirarle i peli. Si fermarono per qualche istante in quello strano equilibrio, poi l'uomo tirò con forza verso il basso, costringendo la ragazza a seguirlo. I polsi erano ancora saldi nella mano destra dell'uomo che era rimasta all'altezza del bacino della ragazza, con la mano sinistra invece, tirava i peli della fica fino ad arrivare ai polpacci di lei. Si trovavano entrambi in una posizione molto scomoda: la ragazza costretta a tenere le braccia alte dietro la schiena, le gambe racchiuse tra loro quasi in posizione fetale a contorcersi per tenere l'equilibrio e per il dolore che si propagava alla fica, la schiena curva abbastanza da portare la faccia quasi a contatto con il cazzo dell'uomo, non ancora del tutto eretto. Poteva sentirne l'odore e sapeva di alghe e di sale. L'uomo lasciò la presa dai peli della fica, qualcuno gli restò tra le dita, e la ragazza cercò subito di raggiungere di nuovo una posizione più comoda, ma l'uomo le fece pressione sulla testa, costringendola a restare con le braccia tese all'indietro, le scapole sporgenti e le gambe tremolanti. Curva e instabile come una canna piegata, pensò che l'uomo volesse un pompino ed era pronta ad accontentarlo senza troppi tentennamenti. L'uomo invece le diede da baciare la mano che le aveva tirato i peli della fica fino a farla quasi lacrimare, se ne rese conto solo in quei secondi.

Entrambi avvertirono di aver creato un momento fin troppo simbolico e che anche un minimo intervallo avrebbe distrutto il gioco. La ragazza baciò la mano cercando di essere convincente, immediatamente dopo la leccò ripulendola degli ultimi due peli rimasti tra le dita. L'uomo la prese per i capelli e le tirò indietro la testa per poterla vedere meglio. La posizione era quasi insostenibile, le gambe e le braccia iniziavano a farle male, nonostante fossero passati pochi minuti. Distratta da quel principio di dolore, non si accorse che l'uomo stava per sputarle in faccia e fu risvegliata dalla sensazione appiccicosa della saliva.

Per un attimo si spaventò di nuovo, era tutta un'enorme cazzata, pericolosa e sbagliata. Non si era mai trovata in una situazione del genere e non per caso. Per un attimo fu come scossa dalla paura e dalla vergogna, non del sesso, quello le piaceva, l'uomo l'aveva capito e non c'era nulla che dovesse spiegare a se stessa. La vergogna, l'imbarazzo di cui non riusciva a liberarsi era concentrato inesorabile sulla stupidità di essersi consegnata a un uomo di cui non sapeva nulla, di cui, se ne rendeva conto adesso, non aveva mai sentito neppure la voce.

L'uomo si accorse che la ragazza era uscita fuori dal flusso di pensieri positivi che l'attraversavano fino a pochi istanti prima e finalmente le lasciò i polsi. La ragazza riprese la posizione eretta e senza pensare a quanto faceva, iniziò a massaggiarsi la fica che le dava ancora un po' fastidio. Non provava dolore, ma sentiva come uno strano formicolio, dei microscopici aghi che le premevano per uscire fuori dal pube fino ai pochi peli che le rivestivano le labbra e che si arricciavano verso il culo. Pensò di rivestirsi ma non lo fece e restò ferma, quasi immobile, incapace di liberarsi dai desideri contrapposti di andare via e di inginocchiarsi all'uomo. Era eccitata e non era sorpresa di sentirlo, ma infastidita per non aver saputo gestire niente dell'ultimo quarto d'ora. L'uomo le si avvicinò e le pulì la faccia con la maglietta che aveva recuperato su uno dei sedili. Lei lo lasciò fare e la sua gentilezza servì solo a farla sentire più stupida. Con la faccia pulita gli chiese come si chiamasse. L'uomo non rispose, prese un passaporto e lo diede alla ragazza. Mikis Peksas, era greco. Mentre la ragazza rigirava il passaporto, l'uomo scrisse su un foglio di carta un indirizzo e una mail. Poi le passò un pezzo di foglio bianco e una penna. La ragazza scrisse la sua mail. Non scrisse l'indirizzo pensando ai genitori. L'uomo tirò fuori un taccuino e prese a disegnare delle manette, di fianco al numero quattro. Poi disegnò una falce e un martello. La ragazza cominciò a mettere insieme i pezzi. Disegnò un globo e tanti puntini, la ragazza non capì cosa volessero dire, allora disegnò delle impronte di scarpe. Dalle scarpe una freccia portava a una casetta disegnata come quelle dei bambini. Sul tetto della casa l'alfa e l'omega. Un po' pretenzioso ma la ragazza capì che finalmente tornava a casa. Col dito indicò la ragazza per chiederle chi fosse. La ragazza cominciò a parlare ma l'uomo la interruppe e le passò il taccuino e la penna. In sette fogli riuscì a raccontare di chiamarsi Marianna, di essere una studentessa di matematica di ventiquattro anni, più o meno impegnata o più o meno single, lei provò a spiegarsi ma Mikis non sembrava interessato. Raccontò di essere su quel treno per andare in Sicilia da un'amica. Il viaggio sarebbe stato ancora lungo anche per lei.

Restarono mezzi nudi a disegnare aiutandosi con i gesti e qualche verso per quasi un'ora. Dai finestrini filtrava la notte. C'era stata nel frattempo una fermata ma il treno continuava a essere deserto. Marianna si impegnò moltissimo a disegnare la preoccupazione per il controllore che sarebbe potuto tornare. Mikis si alzò, tese la mano a Marianna e fece alzare anche lei. Le fece cenno di inginocchiarsi. Marianna era di nuovo eccitata ma pensava che il gioco si fosse interrotto per sempre e che al massimo avrebbe fatto l'amore con un uomo ormai non più così misterioso. L'idea di ricominciare la colse alla sprovvista. Tuttavia si inginocchiò e baciò di nuovo la mano di Mikis, che tirò fuori la lingua e leccò l'aria dello scompartimento. Marianna leccò la mano finché lui non la ritirò e l'asciugò contro i suoi capelli. Si fece sollevare da Mikis al centro dei tre sedili e legare i polsi alla cappelliera, uno con il suo reggiseno e l'altro con la maglietta a righe amaranto che portava sotto il maglione. Pensò che era stata legata in modi più eleganti, ma non si lamentò neppure con se stessa. Mikis prese il taccuino, indicò il disegno del controllore, un omino da bambini, con un enorme cappello, e uscì dallo scompartimento chiudendo la porta scorrevole.

I piedi contro i due poggiabraccia, le gambe aperte ma teoricamente libere di muoversi, Marianna iniziava a rilassarsi. Mikis rientrò subito e si diresse subito ad aprire il finestrino superiore, uscendo di nuovo si fermò a guardarla e gli scappò quasi da ridere. Marianna lo vide uscire mentre sentiva il vento fischiare, il rumore del treno e il freddo cominciare ad avvolgerla. Qualche minuto dopo Mikis tornò e a gesti spiegò che il controllore non sarebbe arrivato fino al giorno dopo, che in quello scompartimento non c'era nessuna altra prenotazione e che per lui i due soli passeggeri avrebbero dormito fino all'indomani. Per sicurezza fece passare la cintura tra la maniglia della porta e un bracciolo. Sarebbe entrato comunque chiunque avesse voluto ma ci avrebbe messo un paio di minuti. Non erano tanti, ma avrebbero potuto cercare di salvare il salvabile.

Alla vista della cintura, Marianna pensò immediatamente che volesse usarla su di lei e dovette ammettere a se stessa di essere piuttosto delusa di vederla ferma a stringere una maniglia. Si aspettava anche che Mikis si spogliasse di nuovo, le piaceva il suo corpo fibroso, poi sperava che nudo avesse freddo e chiudesse il finestrino, ma Mikis restò vestito e il finestrino restò aperto. Marianna era impaziente, il tempo passava, aveva freddo e non succedeva niente. La tensione faceva parte del gioco e tutti e due ne erano consapevoli, ma l'attesa iniziava a prolungarsi un po' troppo per i suoi gusti. Il greco sembrava non conoscere il tempo. Lo vedeva cercare qualcosa tra i sedili ma le dava le spalle e non le riuscì di capire cosa stesse facendo e perché ci volesse tutto quel tempo. Passarono alcuni minu ti in cui non sentì molto altro che freddo, l'eccitazione era quasi sparita. Pensò che forse era lei a essere troppo impaziente, che una situazione come quella che stava vivendo sarebbe dovuta essere eccitante di per sé, ma la verità è che si stava quasi annoiando e quando Mikis finalmente si girò e capì che aveva impiegato tutto quel tempo per girarsi qualche sigaretta, ne restò delusa. Pensò che almeno avrebbe potuto impiegare lo stesso tempo anche per lei. La cintura era inutilizzabile, lei era nuda, a gambe larghe, volontariamente per di più, a morire di freddo e tutto quello che gli era venuto in mente era di prepararsi da fumare. Era sul punto di incazzarsi quando si accorse che Mikis in mano aveva anche le sue mutande, non tra le più provocanti che avesse mai comprato ma comode e lui comunque non sembrava prestarci molta attenzione. Con due dita le fece aprire la bocca e gliele infilò quasi in gola. Mosse la lingua, le spinse un po' più avanti e cominciò a riempirle di saliva.

Mikis si sedette tra le gambe di Marianna e si accese una sigaretta. La teneva a pochi millimetri dalla fica della ragazza e gli unici momenti di tregua erano quelli in cui tirava. Marianna continuava ad avere freddo ma ora sentiva bruciarsi dal pube al culo, un calore puntuto che sembrava penetrarle dentro. Il corpo cercava di farle chiudere le gambe nonostante il desiderio di mostrarsi forte e Mikis aiutava la sua volontà e la sua resistenza usando le spalle a fermarle le ginocchia. Cominciava a divertirsi di nuovo e pensò che il greco invece ci sapeva fare.

Finito di fumare, Mikis si alzò a buttare la cicca fuori dal finestrino, poi prese ad accarezzare Marianna come aveva fatto poco più di un'ora prima. Infilò due dita nella fica della ragazza e le ritrasse bagnate, le tolse le mutande di bocca, attese che rifiatasse per un paio di secondi e gliele fece leccare, poi gliele rimise in bocca. Si girò di nuovo verso i sedili di fronte a Marianna, stavolta prese la sua sacca da viaggio e la poggiò di fianco alla ragazza che poteva vederlo, piegando la testa di lato, mentre cercava qualcosa. Provò ad immaginare cosa stesse per succedere ma non riuscì a fare previsioni che la convincessero. L'attesa questa volta durò molto poco e dalle mani di Mikis riuscì a vedere un rasoio da barbiere. L'uomo aprì il rasoio, inserì una lama nuova e buttò la vecchia fuori dal finestrino. Marianna pensò che si stava cominciando a inquinare un po' troppo per qualche ora di gioco. Non concentrarsi sulla tensione del gioco era una delle cose che faceva per sottrarsi alle attese, che non sapeva gestire bene, e per non prendere troppo sul serio né lei, né l'uomo con cui giocava. L'aiutava a rilassarsi e a prendersi del tempo solo per sé, anche durante il gioco. Non sarebbe riuscita a fare diversamente, eppure provava sempre un piccolo rimpianto; non era del tutto sicura che non si stesse perdendo qualcosa a evitare la tensione in modo così sistematico.

Mikis stava già osservandola da qualche secondo, il rasoio poggiato sul bracciolo alla destra di Marianna, che si accorse di aver fantasticato troppo. L'uomo le accarezzò le gambe dall'alto verso il basso, fino alle caviglie. Con una mano riusciva quasi a tenere una coscia della ragazza. Marianna pensò che era piacevole e quelle carezze verticali le riscaldarono anche un po' le gambe. Mikis la guardò negli occhi e le accarezzò le gambe per un'ultima volta, mettendoci molta più forza e facendole capire di dover restare immobile. Marianna ormai aveva chiari i minuti che sarebbero seguiti. L'uomo prese il rasoio e le rasò la fica. La sensazione era molto sgradevole, il rumore provocato dall'attrito fece venire i brividi a Marianna. Aveva peli biondastri e soffici, quasi fulvi. Pensò che dopo quella tosatura le sarebbero cresciuti delle querce, il pensiero la fece ridere e per poco Mikis non rischiò di farle male. Qua e là restavano dei peli più lunghi ma l'uomo richiuse il rasoio e lo posò di nuovo nella sua sacca. Senza peli potevano scorgersi gocce di umore galleggiare tra le labbra della fica della ragazza.

Il freddo era sempre più pungente e Marianna aveva perso la concezione del tempo. Sapeva che non ne era trascorso molto ma si sentiva legata alla cappelliera da ore. Era eccitata, impaziente, aveva il fiato corto per il freddo e per aver resistito immobile alla depilazione. Come avesse fatto a fidarsi non se lo spiegava nemmeno lei. Non le avrebbe mai fatto male di proposito, di questo era ormai sicura, ma avrebbe potuto sbagliare. Non si era mai arrischiata così tanto e non lo trovava eccitante, solo molto stupido. Pure lo stava facendo. Il greco non l'avrebbe trattenuta, era libera, lo sapeva, ma qualcosa in quell'uomo la teneva sottomessa, più di quanto non fosse stato in passato, anche se aveva avuto esperienze ben più dolorose e impegnative di quella, ma con uomini che conosceva bene, che parlavano la sua stessa lingua dalla nascita. Il grado di confusione che circondava le ultime ore era molto più alto di quanto avesse mai accettato. Smise semplicemente di pensarci quando vide Mikis accendersi un'altra sigaretta e rivolgerle il primo sguardo realmente eccitato. Si sedette di nuovo con le spalle a fermare le ginocchia di Marianna e negli intervalli tra una boccata e l'altra si impegnò a bruciare con la brace della sigaretta accesa ogni pelo rimasto, ogni residuo sfuggito al rasoio. Occorsero due sigarette e parecchi minuti. Marianna restò immobile a sentire i peli arricciarsi contro la pelle e una piccola puntura calda. Con l'accendino, Mikis ripassò velocemente ogni parte già toccata, senza bruciare mai Marianna, ma creando il primo autentico sentore di paura nei suoi occhi. Lo scompartimento puzzava di fumo e di peli bruciati. Marianna non aveva mai sentito quell'odore e si stupì di riconoscerlo immediatamente, senza possibilità di equivoci, come umano.

Voleva muovere un po' le gambe. Si trovava nella stessa posizione ormai da tanto e il freddo e la tensione le avevano irrigidito i muscoli. Mikis si era alzato, non c'era pericolo che le facesse male con il rasoio o con le sigarette. Non le aveva detto di potersi muovere, ma non sembrava proprio uno di quelli fissati con l'obbedienza rigida. Mosse prima una gamba e poi l'altra, lentamente cercò di riattivare la circolazione e di smuovere i muscoli. Mikis la lasciò fare, poi la schiaffeggiò rapido due volte. Non fu violento, ma aveva le mani grandi e pesanti, Marianna sentì gli schiaffi forti e il suono rimbombare per un secondo nel vagone. L'uomo la osservò per un secondo, la ragazza aveva ancora gli occhi di chi è stato colto di sorpresa. Attese ancora pochi secondi, poi riprese a schiaffeggiarla. Dagli occhi della ragazza spuntò qualche lacrima lenta, più per frustrazione che per dolore, nonostante la faccia le bruciasse.

Mikis si mise di nuovo a cercare qualcosa nella sua sacca, dandole le spalle. Marianna si sentì confusa e allo stesso tempo avvertì la familiarità della situazione. Pensò che ogni uomo è diverso e che tutti gli uomini sono uguali. Mikis aveva preso un pacchetto di fazzoletti di carta. Ne bagnò uno con un po' d'acqua da una bottiglia e pulì la fica di Marianna dai resti dei peli bruciati, poi le asciugò le lacrime. Ne bagnò un secondo e le massaggiò le gambe. Fu molto piacevole ma il freddo con le gambe bagnate divenne ancora più penetrante. Le fece piegare le ginocchia e le fece capire che ora poteva muovere le gambe liberamente. Appena ebbe finito di massaggiargliele, la ragazza ne approfittò per sgranchirsi bene. Ora solo le braccia le dolevano un po', ma poteva appoggiare le mani alla cappelliera e ricavarne sollievo. L'uomo le tolse le mutande dalla bocca e piano le massaggiò la mascella, poi le diede un bacio sulle labbra. La lasciò a muovere la bocca come un cavallo liberato dal morso e prese una maglietta pulita dallo zaino della ragazza, una maglia a collo alto completamente nera. Tra le mani dell'uomo sembrava molto piccola. Si avvicinò al finestrino e svuotò la bottiglia d'acqua sulla maglietta. Slegò Marianna, le fece indossare la maglia bagnata e le legò di nuovo i polsi alla cappelliera. Con una mano tese al massimo la maglia tirando dietro la schiena della ragazza. Poteva vedere i capezzoli piccoli e duri di Marianna, seguire il movimento del ventre che assecondava il respiro, scorgere il solco dell'ombelico. Appena smise di stringere la maglia dietro la schiena della ragazza, dal bordo inferiore iniziò a colarle acqua sui polpacci. Con quella roba bagnata addosso, Marianna tremava dal freddo. A vederla tremare Mikis provò un sussulto di eccitazione e non resistette a strizzarle i capezzoli più forte di quanto avesse fatto prima. Stavolta Marianna inspirò forte e si godette il dolore.

Dal freddo le gambe le tremavano vistosamente. Mikis si spogliò delle scarpe, dei pantaloni e di un paio di boxer logori. Si avvicinò a baciare Marianna, incrociando finalmente la sua lingua e la penetrò con una leggerezza che la ragazza aveva intuito avesse ma che non si aspettava avrebbe usato in quel momento. Le sollevò le gambe e in un paio di saltelli portò il culo di Marianna tra le sue mani. Piano, ma senza incontrare resistenze, uno per volta, infilò il dito medio delle due mani nel culo della ragazza, prima fino all'unghia, poi fino alla seconda falange, poi tutto intero. Ad ogni movimento del bacino Marianna sentiva penetrarsi dal cazzo di Mikis o dalle sue dita. Ebbe un orgasmo che sarebbe stato urlato ai vicini se fosse stata nella sua camera o nell'appartamento di qualcuno, e invece fu respirato con tutta la violenza permessa a un respiro. Non sapeva più distinguere i tremiti; tremava per il freddo, per le emozioni, per l'orgasmo che le provocava sempre qualche secondo di piacevole tremore. Le mancava il fiato ma cercò di nuovo la bocca di Mikis per baciarlo.

L'uomo aveva ancora le dita nel culo della ragazza, le estrasse con molta lentezza, prima una, poi l'altra, le scoprì non così sporche come credeva e approfittò della maglietta ancora fradicia di Marianna per pulirle. Marianna non aveva né la forza, né l'umore per opporsi e pensò che avrebbe inventato una scusa qualsiasi per lavare a casa dell'amica una maglia sporca di merda. O forse l'avrebbe lavata in un bar prima di arrivare, o l'avrebbe buttata. Era abituata a preoccuparsi di queste cose ma capì che non gliene importava molto. Mikis le stava liberando i polsi e aveva iniziato a massaggiarle le braccia. Scorreva con le dita lungo tutte le braccia, dalla spalla al polso, stringeva e rilasciava i muscoli, con le unghie picchettava lungo l'interno dell'avambraccio aggiungendo tremolii e brividi. Marianna non aveva mai tremato così tanto in vita sua e per ragioni così diverse tutte insieme. Tenendole una mano la fece scendere dai sedili. Solo in quel momento Marianna si rese conto di come avevano conciato lo scompartimento e ne provò vergogna. Si ripromise di mettere ogni cosa al suo posto, per quanto avesse potuto, in fondo non era stato fatto alcun danno, c'era solo moltissimo casino.

Mikis le tirò i capelli verso il basso e la fece inginocchiare. Di nuovo le chiuse i polsi in una mano e con l'altra le spinse la testa verso il pene. Marianna cercò di regalare al greco il miglior pompino che fosse capace di fare. Mikis le chiedeva di spingersi più a fondo alzandole le braccia dietro la schiena fino a farle male e Marianna provò ad arrivare fino al limite del conato. Per motivi diversi furono entrambi soddisfatti. Lo sperma dell'uomo era molto salato e a Marianna fece piacere perché non aveva mai sopportato lo sperma dolciastro di alcuni uomini. Se Mikis sospirò o ebbe una reazione oltre all'eiaculazione, Marianna non se ne accorse. Dopo esserle venuto in bocca, aveva sentito il gonfiore del cazzo dell'uomo diminuire fino a sentirlo uscire, ritirato fuori.

Mikis prese di nuovo i capelli di Marianna, stavolta la tirò su, la baciò e le tolse la maglia bagnata. Le morse i capezzoli gelidi e ritti come pali della luce, poi cominciò a scaldarla con le mani, la rivestì infilandole tutto come se la ragazza stesse dormendo e Marianna lo lasciò fare, cullandosi tra le mani grandi e lievi dell'uomo. Alzò i braccioli e la distese lungo i tre sedili, poi la coprì con la sua giacca, che le arrivava dalle caviglie fino al collo e riusciva ad avvolgerla completamente. Marianna sentiva il calore entrarle dentro secondo dopo secondo, come una lunghissima carezza. Mentre Mikis fumava un'altra sigaretta, si addormentò.

Prima di chiudere gli occhi, lo cercò con lo sguardo. Si sorrisero entrambi. Mikis si toccò l'orologio, un vecchio orologio da contadini, e poi indicò se stesso, lasciandole intendere che si sarebbe preoccupato di svegliarla. Dalla sacca prese un libro che Marianna non riuscì a riconoscere, gli occhi erano già quasi chiusi. Pensò di provare a spiegare in qualche modo la curiosità, di indicare il libro, muovere gli occhi o la testa e dormì fino al giorno seguente. Mikis fece ordine nello scompartimento, tolse la cintura dalla porta scorrevole e lesse quasi tutta la notte, poi si addormentò con il libro tra le mani. La mattina seguente furono svegliati dalle voci del controllore e della signora grassa vestita di verde che aveva dormito troppo e non era scesa alla fermata giusta.

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