Il piccolo Kevin


Un’enorme massa nera si muove come un’onda di catrame, sembra correre veloce in una direzione, poi rallenta, si arresta, riprende a correre. Sempre più veloce, i contorni sfumati, percorre le strade e i vicoli di San Gerolamo. Nessuno la vede, il sole non è ancora sorto, in giro ci sono solo gli ubriaconi e dormono appoggiati alle saracinesche dei supermercati, mezzi nudi per il caldo, in posizioni che solo il sonno dell’alcool può riuscire a sostenere.
Il gigante nero si ferma davanti a una casa, appare più piccolo perché si è accovacciato. Fiumi di lacrime blu formano una pozzanghera che si disperde in rigagnoli lenti, fino a precipitare in un tombino.
Alle nove e tre minuti del diciotto agosto, la caserma di Polizia di Piazza Cavour salta in aria. La nuvola di polvere si vede da chilometri. I morti sono ottantacinque. Dell’edificio non resta che un cumulo di macerie e un urlo disperato che si sente in tutta la città e che è impossibile estinguere. Il grido proviene dai resti della caserma e in un primo momento si pensa siano i feriti, ma non ci sono sopravvissuti. È un attentato ma sarà solo in tarda mattinata, quando un elicotterista che sorvola la piazza trasmette il messaggio, che si conoscerà la firma dell’attentatore. Il sangue dei morti forma la frase, enorme, larga quanto il cratere provocato dall’esplosione: “PER IL PICCOLO KEVIN”.
Nel frattempo sono esplose altre due caserme, una dei Carabinieri e un’altra della Polizia. Alle cinque del pomeriggio non ci sarà più un solo palazzo delle forze dell’ordine in piedi. I morti saranno centinaia, non solo la città ma tutto il Paese è in preda al panico.
Sulle macerie di ogni edificio restano la scritta formata dal sangue e il grido disumano. Nessun idrante è in grado di lavare le frasi e non si riesce a trovare una soluzione per far tacere l’urlo che sta facendo impazzire la popolazione.
I piccioni impazziti hanno perso le coordinate spaziali e infrangono i loro tentativi di fuga disperati contro i muri dei palazzi popolari, si rompono le ali andando a sbattere violentemente sui pali della luce, sui cartelloni pubblicitari; i cani latrano come se stessero per affogare e corrono senza trovare l’uscita dal dolore, i gatti domestici si lanciano attraverso le finestre chiuse degli appartamenti e precipitano al suolo senza riuscire a cadere sulle zampe. Nessun insetto è riuscito a sopravvivere, sono caduti a terra come minuscoli paracadutisti abbattuti, implosi e inermi. L’asfalto è una moquette scivolosa e puzzolente ricoperta di mosche, zanzare, vespe, moscerini, migliaia di moscerini.
L’urlo è ovunque, penetra nelle orecchie come l’aria, sembra uscire dagli occhi, schiaccia il cervello, martella il petto, rompe i timpani dei neonati, non ha variazioni, non conosce ostacoli, non ascolta le grida di risposta di chi non riesce a sfuggirgli. L’urlo è precipitato come un manto di neve e neppure il caldo di agosto riesce a scioglierlo.

Il piccolo Kevin, sei anni, battezzato così dai giornali, è morto la sera prima insieme a suo padre. Si trovavano in Via Malta, all’angolo con Corso Uruguay, dove le strade creano un piccolo slargo. Kevin era sulle spalle di suo padre con in braccio un fucile ad acqua, nonostante fossero le sette di sera faceva ancora molto caldo. Girato l’angolo, uno dei tanti poliziotti messi a presidiare il quartiere gli si è parato davanti e Kevin ha sparato un getto d’acqua colorata, blu per l’esattezza, come si è potuto vedere dalle immagini delle videocamere. Il poliziotto, un ragazzo, ha sparato. Kevin e suo padre, Ciro Aversa, sono morti sul colpo. Kevin era già orfano di madre, morta quando lui aveva pochi mesi. Nella cronaca questo particolare è stato ripetuto più e più volte, tanto da diventare predominante rispetto alla morte violenta.

Un’altra storia di violenza, povertà e sfortuna di San Gerolamo. Un posto che la geografia e la politica hanno reso un ghetto perfetto per secoli. Da San Gerolamo sono passati gli ebrei, cacciati via e ricordati solo dalla sinagoga che resiste come un’oasi al centro del quartiere; per qualche anno albanesi e slavi hanno abitato le case strette e lunghe, poi è stato il turno degli africani, spazzati via brutalmente con le leggi sull’immigrazione del 2022. Il progetto di riqualifica è consistito nel cambiare gli abitanti del ghetto. Ora ci vivono lavoratori meridionali, greci e portoghesi, in un equilibrio instabile tra comune aiuto e guerra per accaparrarsi le strade migliori, i negozi più civili e le poche risorse.
La presenza di decine di poliziotti e carabinieri, e dell’esercito un mese sì e l’altro pure, non fa che esasperare i conflitti. Kevin e suo padre non sono i primi morti ammazzati a San Gerolamo dalla polizia, per errore, per imperizia, per razzismo e perché la vita a San Gerolamo vale sempre di meno. Era da parecchio però che non ci andava di mezzo un bambino. Al tramonto c’è stata una rivolta sedata solo dagli agenti in tenuta antisommossa e con l’aiuto dei lacrimogeni. Le immagini dei telegiornali hanno mostrato una vera e propria guerriglia, lacrimogeni, idranti e scudi contro pietre, bottiglie molotov e sedie di plastica dei bar. Gli arresti sono stati decine e i feriti centinaia. Il poliziotto che ha sparato sostiene di avere agito per legittima difesa e tutti i telegiornali hanno dato per buona la sua versione.
La città vede cadere i suoi simboli, uno dopo l’altro. Esaurite le caserme, hanno iniziato a saltare in aria la Prefettura, il Tribunale, il Comune e nessuno riesce a venire a capo della storia. I morti non si contano più.
Il Primo Ministro sarebbe dovuto accorrere ad accertarsi della situazione e a parlare con i vertici nazionali delle forze dell’ordine, che si sono invece precipitati in città, ma dopo aver sorvolato in elicottero le macerie e ascoltato l’urlo bestiale, è tornato a Roma. Si teme per il Paese.
A pomeriggio inoltrato, con un ritardo che rivela tutta l’incapacità di gestire un’emergenza, la città è fatta evacuare, nelle strade restano solo le forze speciali impiegate a circondare gli abitanti di San Gerolamo, costretti nelle loro case che sono state perquisite una ad una, stanza per stanza.
L’urlo ha creato un clima di completo panico generalizzato. Il governo ha deciso, in accordo con i vertici militari, di non far uscire nessun residente da San Gerolamo. I sospetti cadono tutti su di loro, nessuno deve uscire dal quartiere. Se di vendetta si tratta, e tutto lascia credere di sì, deve venire da qualcuno che conosceva Kevin, che gli voleva bene, qualcuno in grado di organizzare attentati esplosivi multipli a edifici dello Stato. L’ordine è di tenere tutti lì e di fermare, anche sparando, chiunque provi a uscire.
Ben presto, prima che faccia notte e nonostante i tentativi del governo di non far filtrare le notizie provenienti dalla città, è chiaro a tutti che non si tratta di attentati esplosivi tradizionali ma di qualcosa di non umano. Le grida non cessano di esasperare chiunque sia presente nell’intera area, le scritte rosse nella luce della sera sembrano più luminose che mai. A urlare e scrivere è Ciro. Si porta ancora dietro Kevin sulle spalle e le esplosioni non finiranno fino a quando non si placherà la sua rabbia.
Non esistono immagini di quanto è accaduto perché il rumore delle grida è così forte da coprire qualsiasi altro suono, impossibile riprendere alcunché. Le stesse immagini, anche senza audio, sono talmente disturbate dalle frequenze disumane delle urla di Ciro da essere incomprensibili, inutilizzabili. Le uniche informazioni si hanno dai superstiti, a voce. I racconti si sono confusi con le leggende, la verità, se mai c’è stata, è andata perduta. La versione più accreditata parla di un fantasma o meglio due, Ciro con Kevin sulle spalle. Urlano e fanno crollare tutto lasciando il loro dolore a gridare per l’eternità e la scritta rossa a indicare i colpevoli.

Il caldo fa puzzare i cadaveri, per fortuna le mosche sono tutte morte e i cani scappati via. L’urlo è un coltello nel cervello.
Via Colombia, dieci palazzi più i negozi al piano strada, la merce viene rovesciata in strada dai militari, i mobili delle abitazioni buttati giù dai balconi, gli uomini in divisa sono protetti da cuffie speciali ma l’urlo, seppure attenuato, lo sentono anche loro. Via Paraguay, gli abitanti si coprono le orecchie come possono, calzini arrotolati intorno al collo e ficcati a forza nelle orecchie, strati su strati di cappelli, cotone imbevuto d’acqua, l’urlo non accenna a diminuire ma appare perfino più forte, sempre più acuto, straziante, una vecchia muore di crepacuore, iniziano le allucinazioni, il fantasma di Ciro e Kevin evoca fantasmi personali. Piazza Rio de Janeiro, la gente è scesa in strada, tra la roba scaraventata ovunque dai militari, è Ciro, è Ciro, ci ammazzano i figli, sbirri di merda, fateci uscire, fascisti, state zitti, terroni di merda, che cazzo dici, non ti sento, non sento niente, alza quella vecchia!, che c’è là sotto!, fascisti, fateci uscire, fateci uscire, stiamo morendo. Largo Argentina, una donna precipita dal quinto piano, si schianta sulle cassette di frutta del fruttivendolo sulla strada, l’hai buttata tu, pezzo di merda, sbirro di merda, bastardo, il figlio della donna muore per le botte in testa. L’urlo è nelle pieghe della pelle, è sotto le unghie, è un filo che taglia le parole, nessuno riesce a piangere perché il dolore blocca il corpo. I militari in uniforme sudano e picchiano. Le cuffie speciali in dotazione trasmettono Mozart, l’urlo è più forte.
A San Gerolamo, con l’esercito schierato su tutte le vie di fuga e l’urlo di Ciro e Kevin a piegare la gente dal dolore, è finita prevedibilmente in tragedia. Per qualche motivo l’esercito ha iniziato a sparare. I pochi sopravvissuti parlano ora di decine di morti. Dopo la sparatoria l’esercito è andato via. I cadaveri sono usciti da San Gerolamo portati a spalla dai parenti feriti. Molte salme sono rimaste lì.
L’urlo esplora i cadaveri e le macerie come il vento. Solo le piante sono ancora vive e oscillano alla brezza notturna. L’urlo è un’eco del dolore che si infrange lungo quel che resta della città. Tutto è fantasma, maledizione, vendetta, odio. L’urlo entra nelle case disabitate, si abbatte in picchiata tra i negozi abbandonati, entra sottoterra attraverso i tombini divelti e scoppia all’aria aperta invadendo la notte.
Il governo non ha mai risposto del comportamento delle forze dell’ordine. I sopravvissuti di San Gerolamo hanno occupato uno stabile abbandonato e le strade limitrofe. Hanno resistito fino a quando hanno avuto l’appoggio della gente, poi sono stati spazzati via e si sono dispersi.
La città non è ancora stata riaperta. Le scritte non scoloriscono e le urla non perdono d’intensità.
Il fantasma di Ciro e Kevin, sebbene non sia stato mai ripreso da nessuna telecamera e nonostante la sua esistenza venga negata dallo Stato attraverso tutte le istituzioni, esiste e chi l’ha visto ha trasmesso la sua immagine raccontandola, disegnando la bocca spalancata, l’urlo e il sangue.
L’urlo portato dal vento arriva a lambire la vicina autostrada, spaventa gli automobilisti e le cornacchie. Il fantasma di Ciro e Kevin si siede sui gradini d’ingresso di un condominio, Kevin scende dalle spalle di suo padre. Non si guardano. Ciro mette un braccio sulle spalle di Kevin, esplode una pompa di benzina, Kevin fa pum, Ciro piange e ride, l’urlo si alza, prende velocità, gira vorticoso come se raccogliesse materia, a quaranta chilometri, un’altra cittadina, esplode una caserma dei Carabinieri, l’urlo inizia a devastare, a restituire dolore e pazzia. Il caldo è soffocante anche di notte, anche nella città fantasma invasa dall’urlo.

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