L'ombra



Dalla finestra della mia cucina si vede bene la cupola della Basilica di Santa Maria Assunta. A Genova nessuno la chiama così ma è la chiesa di Carignano e spezza l'ordine dello spazio sovrastando oltremisura il paesaggio del quartiere.
Mi ero sporto il più possibile fuori dalla finestra, puntando i piedi tra i contenitori dell'umido e della carta, per evitare che il fumo della mia meritata sigaretta notturna entrasse in cucina. Da quando è nata Chiara cerco di fumare in casa il meno possibile e sempre con il corpo mezzo fuori dalla finestra. Di notte, ora che è inverno, a volte sono costretto a fumare rapido perché il vento entra nelle pieghe dei vestiti e fumare non è più piacevole ma solo una necessità da sbrigare alla svelta.
Qualche giorno fa però la notte era tiepida e fumavo con calma. Non ricordo a cosa pensassi, guardavo il paesaggio, c'è un comignolo messo davanti a un lampione che di notte crea un effetto tipo cinema all'aperto, mi incanto spesso a vedere le spirali di fumo che non disegnano niente ma sono ipnotiche. Devo aver voltato lo sguardo senza accorgermene e immediatamente ho notato un'ombra muoversi lungo la cupola della chiesa. Qui ci sono solo pappagalli, ormai tantissimi e tutti verdi, e gabbiani, l'ombra sembrava essere quella di un animale più massiccio, almeno sette o otto volte un gabbiano. E ormai i gabbiani li conosco bene, volano davanti alle nostre finestre a tutte le ore cercando cibo. C'è un pazzo che abita nel palazzo di fronte e gli dà da mangiare. Così un gabbiano, sembrerebbe essere sempre lo stesso, si pianta sul davanzale della sua finestra e staziona lì per ore come un innamorato offeso. Non capisco come non gli faccia paura.
Un topo? Pensai. Ma la chiesa è molto alta, i topi possono arrampicarsi, è vero, ma dovrebbe essere comunque un topo gigante. L'ombra non si vedeva più e con l'aiuto della notte fantasticavo di animali nel quartiere. C'erano pappagalli, gabbiani, pochi pipistrelli e di quelli molto piccoli, di città. Qualche cane domestico, ma è un quartiere abitato da borghesi, i cani non superano le dimensioni di un fox terrier. E poi l'ombra si muoveva come un gatto, non come un cane.
L'ombra si rifece viva, qualsiasi cosa fosse. Senza rendermene conto dovevo avere un livello di attenzione più alto e questa seconda volta riuscii a vedere meglio. Mi bruciai le dita con la sigaretta che stava consumando il filtro pensando, ma questo è un uomo. Bestemmiai per la piccola bruciatura, per la sorpresa e subito dopo bestemmiai di nuovo, perché con tutto quel rumore, con la notte così silenziosa, avrei potuto svegliare Chiara. Rimetterla a dormire avrebbe significato passare svegli ancora un’ora, come minimo.
La notte era umida, tiepida e carica di nuvole scure, cercai di vedere meglio ma l'ombra restava tale e continuava a sembrare appartenere a un uomo. I movimenti erano agili e la struttura del corpo, per quello che potessi vedere, piuttosto massiccia. L'uomo era alto, corpulento.
Si muoveva, per caso, per fortuna o per strategia, sempre sul lato della cupola non illuminato dalla luce della chiesa e dai lampioni: c'è uno spicchio di cupola che resta sempre buio e lui saliva rapido senza uscire alla luce.
Non sapevo cosa pensare, né cosa fare. Pensai subito che fosse un ladro e non avevo nessuna voglia di confrontarmi con lui. Beh, avevo paura, certo.
Non mi riusciva di capire neppure quale interesse potesse avesse un ladro ad arrampicarsi e a rischiare la vita sulla cupola di una chiesa di Genova. Non ne avrebbe ricavato granché. Opere d'arte, ecco cosa. Un ladro alla ricerca di opere d'arte. Certo. Del resto, se esistono i tombaroli perché non i ladri di chiese? Il pensiero mi tranquillizzò. Avevo svelato l'assurdo e la notte m'appariva più normale.
Era già molto tardi, e Chiara la mattina seguente si sarebbe svegliata presto, come al solito, come tutti i bambini del mondo – com'è bella e dolce, con gli occhi grandi e già le sue prime piccole abitudini – ma ormai, tardi per tardi, presi un'altra sigaretta. Impiegai qualche secondo a ritrovare l'ombra, ormai quasi familiare. Di chiamare la polizia o i carabinieri non ne se parlava. Un ladro corre già abbastanza rischi per conto suo senza che debba mettergli i bastoni tra le ruote io. Il pensiero di farlo non mi sfiorò neppure. Continuava ad arrampicarsi, nero e agile come un puma mentre mi distraevo pensando a Figlio di ladro di Manuel Rojas, un romanzo solo all’apparenza semplice ma invece molto ben costruito e nel quale la vita del ladro è presentata con realismo, ironia, paura, romanticismo e insomma per quella che è. C’era di che distrarsi per parecchio e avrei continuato a farlo, ma l’idea delle opere d’arte trafugate si rifece strada e sostituì senza che me ne rendessi bene conto le pagine di Rojas che stavo reinventando senza nessuno scrupolo. Va bene l'anticlericalismo, pensai, ma è pur sempre un patrimonio artistico accessibile a tutti, se lo porta via dalla chiesa non potrà più vederlo nessuno. Ci abitavo davanti eppure non sapevo nulla delle opere presenti nella chiesa di Carignano. Andai a prendere il telefono per controllare cosa potesse voler rubare. Tale Pierre Puget ha lavorato a delle statue di ispirazione barocca. Gli appassionati lo conosceranno senz'altro, ma non è un nome noto al grande pubblico. E lo stesso si può dire di Filippo Parodi, scultore genovese, o di Massimiliano Soldani Benzi. Tutti nomi evidentemente molto importanti tra il '600 e il '700 ma che a me non dicevano nulla, nomi rilevanti per la storia dell'arte e per i collezionisti. Dunque era un furto di opere d'arte, probabilmente statue, non così celebri e di cui la stampa si sarebbe occupata solo in qualche notiziola di cronaca locale, per un giorno o due. Il furto sarebbe stato dimenticato in fretta e nessuno ne avrebbe saputo più nulla. Ben fatto, pensai. Ci sanno fare questi collezionisti.
Il ladro, mi sembrava fosse ora un po' più affaticato, l'ombra si muoveva con meno agilità, era ormai quasi in cima alla cupola principale. Forse avrei dovuto davvero avvertire la polizia. Pensai di spaventarlo in qualche modo, per farlo scappare e rinunciare al furto senza coinvolgere la polizia, ma non trovai nessuna soluzione convincente. L'unica era sperare che i gabbiani difendessero il patrimonio artistico attaccando in formazione compatta, ma le probabilità che accadesse un fatto del genere apparivano molto scarse.
L'ombra per una manciata di secondi perse il contatto con il tetto a scaglie della cupola e si mostrò alla luce dei lampioni. Non riuscii a riconoscere altro che un paio di scarpe da ginnastica verdi, di un tono molto acceso, che rubarono tutta la mia attenzione. Avrei voluto vedere la faccia del ladro. Però come il ricordo di un sogno, ebbi l'impressione di aver visto anche un volto. Doveva essere nero. Ma poteva essere suggestione. Mi resi conto, come molte altre volte m'era successo, di subire anch'io il condizionamento culturale del clima di razzismo che respiriamo. L'uomo era nero, forse, o forse no, di sicuro era un ladro e quale fosse il colore della sua pelle, ammesso di essere riuscito davvero a vederlo, non aveva nessuna importanza. Il pensiero del mio inconsapevole razzismo mi svegliò e mi sentii più lucido. L’ombra si affaticava a raggiungere la cima della cupola. Ma perché? Non sarebbe certo entrato da lì. Un terrorista! Altro che ladro, quello era un terrorista, ecco cos’era. E stava per far saltare in aria la cupola. Il botto sarà terribile e sveglierà tutto il quartiere, tutta la città. E altro che ladro e polizia, qui arriva l’antiterrorismo. I pensieri mi avevano eccitato e pensai, ora sì, davvero, di telefonare ai carabinieri. Possibile che solo io stia vedendo la scena? Magari qualcuno ha già telefonato e loro sono nascosti nell’ombra, più abili del terrorista con le sue scarpe verdi che chissà in quanti avranno visto. È il loro lavoro, del resto.
Bisognava proprio che telefonassi. A me fanno paura i carabinieri, i poliziotti, i vigili urbani. Molto più dei ladri che ho sempre immaginato concentrati a rubare, mica a fare del male a me, cosa gliene importa a un ladro di me, se gli sto lontano non saprà mai della mia esistenza. I carabinieri invece e i vigili, i poliziotti vogliono controllare che io mi senta al sicuro. E vorrebbero farlo con una pistola. Beh, io non mi sento molto al sicuro di fianco a qualcuno armato, che potrebbe distrarsi e lasciar partire un colpo o avere la sfortuna di incocciare un ladro, un criminale, un malfattore, proprio mentre vuole accertarsi della mia sicurezza e senza rendercene conto siamo nel bel mezzo di uno scontro a fuoco. Preferisco badare da solo alla mia sicurezza, senza pistole e fucili, e tenermi a distanza dai ladri, dai criminali e dagli sbirri tutti. Ma l’ombra ormai è arrivata in cima e si muove molto poco, riesco a vederla solo perché l’ho seguita con lo sguardo e bisogna proprio che chiami, perché sta per far saltare in aria tutto e il botto si sentirà in tutto il quartiere, romperà le finestre e farà scattare gli allarmi di tutte le auto da ricchi di Carignano. Oh, e i frantumi dei vetri attraverseranno le camere da letto e Chiara e Silvia dormono.
M’ero finalmente deciso a telefonare quando l’ombra si illuminò alla luce del lampione che sembra il cinema all’aperto. Il comignolo non lasciava uscire più fumo, troppo tardi per tenere acceso il riscaldamento.
L’ombra si illuminò ed era un uomo nero davvero, con le scarpe verdi e in un istante si lanciò di sotto dalla sommità della cupola, rimbalzando sulle pareti e poi più giù, fino al terreno. I versi dei gabbiani spaventati coprirono in parte il tonfo della caduta. Pure mi parve di sentirlo rimbombare nel quartiere per molti secondi. Solo i gabbiani sembravano essersi accorti del volo dell’uomo e continuavano ad agitarsi e a urlare.
Questo è morto. Mi affrettai a chiamare un’ambulanza e infilai le scarpe, senza avvertire neppure Silvia scesi giù in strada a controllare se fosse ancora vivo. Dall’ospedale mi risposero gentili ma frettolosi, col tono di chi ne ha sentite già abbastanza per tutto il giorno. Pensai di non poter fare molto altro che aspettarli e sperare che l’uomo fosse ancora vivo, per provare almeno a dargli della vicinanza umana, dirgli che un medico sta per arrivare. Immaginai di dover aspettare molto, invece l’ambulanza era già lì quando arrivai alla chiesa, dalla finestra sembra più vicina. L’ospedale invece è dietro l’angolo.
Alle mie domande mi risposero che era morto sul colpo. Mi chiesero se lo conoscessi, ma non l’avevo mai visto prima. Scrissero questa risposta su un documento prestampato e me lo fecero firmare.
Gli infermieri mi invitarono a tornare a casa e del resto non avrei avuto motivi per restare. Tornando a casa camminai piano, ogni passo dietro l’altro e rimuginavo: avrei potuto salvarlo? Forse se avessi gridato o se avessi chiamato qualcuno. Ho perso molto tempo ad inventare cose improbabili e avrei dovuto chiedere aiuto prima. Ma magari si sarebbe spaventato e si sarebbe buttato prima.
A casa Silvia e Chiara dormivano, avrei voluto svegliarle ma non sarebbe stato gentile. La voglia di parlare con qualcuno mi girava in corpo, ma svegliarle non avrebbe avuto senso.

Mi venne voglia di fumare ancora, ma non osai riaprire la finestra. Mi sentii cinico a sperare che la paura passasse presto perché è la finestra più comoda della casa.
Senza fare rumore andai In dispensa dove c’era ancora una bottiglia di vodka. Tanto non avrei più dormito. Passai la notte a guardare televendite di quadri e a bere vodka allungata con l’acqua. Il mattino dopo ero ancora mezzo ubriaco, Silvia impiegò del tempo ad accettare che avessi passato la notte in quel modo e non fu di conforto. Avrei voluto parlarle ma era sempre indaffarata con Chiara. Uscirono insieme per andare all’asilo senza che avessi potuto raccontare altro che la cronaca dei fatti. Io non andai al lavoro, decisi di fare una doccia, riaprii la finestra più comoda per fumare e andai a dormire per un po’. Silvia non sarebbe tornata che dopo pranzo.

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