Fata Polpetta




In un bosco verde, lontano o vicino, abitava una fata di nome Ruscello, perché era placida e tranquilla come un ruscello. Viveva da sola in una casa di legno, piena zeppa di cose curiose: c'era un alambicco per distillare liquore dal sambuco, da offrire poi agli amici del bosco, una corda per arrampicarsi sulle nuvole – ma la fata era pigra e non la usava quasi mai –, un sasso dell'oceano per dormire tutto il tempo che si vuole e risvegliarsi riposati, come cullati dalle onde, e mille altre cose che la fata aveva trovato negli anni dei suoi viaggi di apprendistato. Una volta, ogni fata faceva lunghi viaggi per imparare le tecniche di magia di tutto il mondo e degli altri mondi e anche Fata Ruscello non faceva eccezione. Da qualche anno però viveva nel bosco verde, lontano o vicino, e tutti le volevano bene e lei voleva bene a tutti.
La magia di Fata Ruscello era utile e tranquilla come lei e tutti gli abitanti del bosco se ne giovavano, ricambiando i favori di Fata Ruscello con qualcosa di altrettanto utile. Il cinghiale in cambio di una spazzola magica che gli grattasse ben bene la schiena, portava sempre delle mele. Gli scoiattoli portavano noci, nocciole e pinoli e Fata Ruscello ricambiava il regalo con delle scarpe salterelle: gli scoiattoli saltavano come acrobati. Il cane portava a Fata Ruscello le novità dal paese più vicino, una rivista, un piccolo orologio, un apriscatole e Fata Ruscello lo teneva con sé per un po' e lo accarezzava alla sera davanti al fuoco. A volte non c'è bisogno di magia e Fata Ruscello lo sapeva bene.
In tutto il bosco solo un coniglio non portava mai nulla a Fata Ruscello, anche se spesso chiedeva delle magie o dei favori a Fata Ruscello. Era un coniglio di pochi anni, giovane e forte, e bello come tutti i conigli della sua famiglia, ma prepotente e vigliacco. I suoi genitori, i fratelli e le sorelle conigli, anche gli amici, tutti erano preoccupati dal comportamento di questo coniglio, che si chiamava Cicala, perché parlava sempre, non ascoltava mai gli altri e voleva avere sempre l'ultima parola.
Coniglio Cicala, quando capitava dalle parti vicino alla casa di Fata Ruscello, andava a bussare alla sua porta, a tutti gli orari, anche di notte, con il sole e con la pioggia, con il vento dalle montagne e con la brezza dal mare. Fata Ruscello gli apriva perché apriva la porta a tutti, diceva sempre che casa sua era la casa del bosco e che lei l'abitava soltanto, ma Coniglio Cicala non andava mai per un saluto o per sapere come stesse Fata Ruscello, andava sempre e solo per chiedere qualcosa, senza dare mai nulla in cambio. Spesso capitava che non avesse bisogno di nulla, ma chiedeva comunque qualcosa, magari inventandosi una richiesta lì per lì, senza nessuna necessità. Una volta chiese una cintura per tenere su pantaloni che non aveva e un'altra volta un cappello magico che sventolasse sempre la piuma di una quaglia, ma il cappello, ovviamente, non gli stava su per via delle orecchie da coniglio.
Arrivava tutto trafelato alla porta di Fata Ruscello e urlava, facendosi sentire da tutto il bosco: “Fata Polpetta, voglio un catino volante per fare il bagno e guardare dal cielo voialtri stupidi che fate il bagno al fiume.”
Coniglio Cicala aveva trovato questo soprannome per Fata Ruscello, che in effetti era un po' grassoccia e non molto alta. A Fata Ruscello non dava fastidio e pensava che crescendo Coniglio Cicala sarebbe diventato più attento a quello che diceva e che pensava. Quando poteva lo accontentava oppure si limitava a non rispondere. Raramente lo ammoniva: “Coniglio Cicala, il bosco non è solo tuo. E io non mi chiamo Fata Polpetta.”
Coniglio Cicala le rispondeva ridendo: “Quel che è mio lo decido io, Fata Polpetta!”
Passarono i mesi, passarono gli anni, Coniglio Cicala crescendo divenne sempre più prepotente. La sua tana era piena di cose inutili, perché tutto doveva appartenergli e lui stesso, in quel marasma di oggetti ormai abbandonati a prendere polvere, ci si muoveva a fatica.
Un giorno chiese a Fata Ruscello una scopa che eliminasse, scegliendo bene, tutto quello che non serviva più. Fata Ruscello gli rispose che nessuna magia poteva sostituire l'intelligenza. Coniglio Cicala le disse che era quasi una strega Polpetta e andò via dando un calcio alla marmellata di prugne e scorza di salice candito che Fata Ruscello stava preparando per gli altri abitanti del bosco. Fata Ruscello cominciava a essere stufa delle prepotenze di Coniglio Cicala, ma non era mai stato necessario usare la magia contro qualcuno e non lo fece neppure quella volta.
Coniglio Cicala dovette rassegnarsi a fare il lavoro da solo e una mattina, di buon'ora, ancora con il fresco che veniva dalla rugiada, iniziò a svuotare la tana dove abitava di tutto quello che pensava non gli sarebbe servito mai più. Trovava un oggetto e lo lanciava fuori dalla tana, usando la porta o le finestre aperte. Con questo sistema, fece un enorme mucchio di oggetti nel mezzo del bosco e pensava di bruciarlo e godersi il falò.
Gli altri abitanti del bosco videro in quel mucchio tantissime cose che Coniglio Cicala aveva preso al loro posto, in un'occasione o nell'altra. La biscia vide un cumulo di cuscini che avrebbe voluto per dormire comoda anche durante la muta e che Coniglio Cicala le aveva sottratto un giorno, tanti mesi prima, senza motivo, solo perché gli andava di farlo. La tartaruga osservò con rammarico una candela magica, capace di restare illuminata anche con il vento forte, e che le sarebbe molto servita nelle lunghe notti di viaggio. Il cavallo sospirò guardando delle bellissime ali fatte di foglie dipinte di rosso: correndo sarebbe stato bellissimo. Tutto il bosco era un vociare di rimpianti e desideri.
Il cinghiale, uno degli abitanti del bosco più anziani, capì che quello spreco non doveva avere luogo e cercò di spiegare a Coniglio Cicala che tutti quegli oggetti che lui riteneva inutili e che non gli servivano più, potevano essere utili ad altri. Coniglio Cicala gli diede del vecchio peloso e disse che quella era roba sua e se voleva la bruciava quando gli pareva. Il vecchio cinghiale penso di staccare un'orecchia di Coniglio Cicala con un morso, ma questo avrebbe dato il cattivo esempio agli altri animali del bosco. E così si ritirò, pensando a quale potesse essere la soluzione migliore.
Il bosco continuava a sospirare desideroso.
Attratta da un sospiro più forte degli altri, Fata Ruscello aveva ascoltato tutto, anche l'ennesima risposta scortese di Coniglio Cicala al vecchio cinghiale. Decise di provare anche lei a parlare di nuovo con Coniglio Cicala e così volò sul posto dove il mucchio di oggetti diventava sempre più imponente e i sospiri degli abitanti del bosco sempre più lunghi.
Atterrò dal breve volo proprio di fronte a Coniglio Cicala e lo guardò bene negli occhi: “Coniglio Cicala, - gli disse – stai esagerando. C'è un equilibrio qui nel bosco e non lo stai rispettando. Lascia che ognuno prenda quello che gli serve, visto che sono cose che non usi più.”
Coniglio Cicala rise più forte che mai e con le mani davanti ai denti e le orecchie che sembravano impazzite, guardò Fata Ruscello: “Fata Polpetta, perché non fai una magia e replichi tutte le cose che ci sono nel mucchio? Così tutti avranno quello che vogliono. Fata Polpetta, perché non dai tutto a tutti?”
“Perché sarebbe una magia inutile e non si fanno magie inutili, dovresti saperlo.” rispose Fata Ruscello, con le mani sui fianchi.
“Fata Polpetta, allora sei inutile anche tu. Fata Polpetta serve solo a fare polpette”Coniglio Cicala rise ancora più forte, sempre più forte, e tutto il bosco poteva sentirlo.
Poi d'un tratto non si sentì più nessun rumore, ma solo un odore. Odore di polpette!
“In effetti, le polpette mi vengono piuttosto bene.” esclamò Fata Ruscello e prese una polpetta fumante da un piatto apparso improvvisamente. “Davvero ottime!” aggiunse, leccandosi le labbra.
Fata Ruscello quel giorno preparò polpette per tutti gli abitanti del bosco e divenne per tutti Fata Polpetta.
Ancora oggi, in un bosco lontano o vicino, ogni anno c'è una festa. Tutti portano qualcosa che non usano più e chiunque può prenderla, portando a sua volta qualcosa. Si mangiano polpette di coniglio e si fa un gran falò.
Si dice che le polpette di una vecchia signora siano le più buone di tutte.

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