Ancora Cile, ancora 11 settembre

Ancora Cile, ancora 11 settembre

Sono passati quarant'anni dal colpo di Stato in Cile del 1973. Qualsiasi cosa mi venga in mente di dire o di scrivere è stata detta meglio e scritta meglio. Ricopio qui sotto il volantino redatto dall'Associazione per un Archivio dei Movimenti di Genova. La memoria del colpo di Stato, ma soprattutto dell'esperienza del governo Allende, si articola a Genova in più di un'iniziativa, da Palazzo Ducale a Casa America, dal Cinema Sivori al Club Amici del Cinema di Sampierdarena. E sto sicuramente dimenticando qualcosa. In questa serie di eventi ci sono il lavoro e la passione di parecchie persone; da tre anni che vivo a Genova, raramente avevo visto manifestazioni così complesse e centrate.
Questi sono gli appuntamenti cinematografici




Qui ricopio il volantino di cui dicevo e che troverete ovunque nel corso delle varie iniziative:

L’11 settembre 1973 il golpe militare di Augusto Pinochet, avvenuto con il beneplacito e l’aiuto diretto (come nel caso degli USA) di vari paesi occidentali, reprimeva nel sangue l’esperienza del Governo socialista di Unidad Popular, presieduto da Salvador Allende, democraticamente eletto dal popolo cileno appena tre anni prima. Una vera e propria tragedia che ha provocato molte migliaia di morti e un numero incalcolabile fra desaparecidos, torturati, incarcerati e profughi. Lo stesso Allende viene trovato morto nel palazzo della Moneda, la sede di Governo, bombardato e semidistrutto. Si consuma così la devastazione politica, sociale, culturale e morale di un’intera società. Così viene posta la parola fine non solo a una delle esperienze di trasformazione sociale più partecipate che la storia della sinistra ricordi, ma anche ad una lunga tradizione democratica che aveva, fino ad allora, caratterizzato il Cile.

Il 4 settembre 1970 Salvador Allende vince le elezioni presidenziali con il 36,3% dei voti. Si era già candidato quattro volte – scherzava dicendo che sulla sua tomba avrebbero scritto “Al futuro presidente del Cile” -, ma nel 1970 è alla testa di una coalizione che, con il nome di Unidad Popular, comprende comunisti, socialisti e radicali e può contare sull'appoggio delle associazioni sindacali e della CUT (Central Unica de Trabajadores).
Il 24 ottobre il Congresso cileno ratifica l'elezione di Allende, che diventa il 29° Presidente del Cile. Il suo progetto di governo si basa sulla grande tradizione democratica cilena: la via allendiana al socialismo non prevede il ricorso alle armi (si scontrerà per questo anche all'interno della sua stessa coalizione, ad esempio con il MIR, Movimiento de Izquierda Revolucionaria), ma l'utilizzo di tutti i mezzi che la costituzione democratica prevede.
Il governo di Unidad Popular – e, prima ancora, la campagna elettorale di Allende - è contraddistinto da un grandissimo fermento culturale, che coinvolge tutte le arti e gli strati più bassi della società, dal recupero della tradizione musicale popolare con la Nueva Cancion Chilena ai murales “elettorali” della Brigada Ramona Parra.
Le principali riforme del governo Allende sono sicuramente la nazionalizzazione delle miniere di rame (non espropriate), la riforma agraria e la nazionalizzazione di banche, compagnie assicurative e trasporti. Anche le innovazioni sociali sono numerose: dall'introduzione del divorzio al mezzo litro di latte gratuito per ogni bambino, fino all'annullamento delle sovvenzioni statali per le scuole private.
Il malcontento delle classi agiate viene fomentato e sostenuto da finanziamenti e strategie della CIA: “fare gridare di dolore l'economia cilena” è l'esplicita parola d'ordine che risulta dagli appunti di una conversazione avvenuta il 15 settembre 1970 tra Henry Kissinger, Richard Nixon e il direttore della CIA Richard Helms. Si organizzano scioperi e proteste di natura reazionaria, accompagnati da azioni eversive di gruppi di estrema destra (in particolare, i neofascisti di Patria y Libertad) e sostenuti da una fortissima campagna mediatica, guidata dal quotidiano “El Mercurio”, che ingigantisce gli effetti della crisi economica e agita lo spauracchio del comunismo. Il 29 giugno 1973 viene represso un primo tentativo di golpe (“tanquetazo”).
Cercando di controllare la situazione, Allende decide di inserire all'interno del governo il generale Carlos Prats, Comandante in capo delle Forze Armate. Il Presidente è convinto che, per quanto conservatori, i militari continueranno a seguire la tradizione lealistica e democratica cilena, e ne teme soltanto alcune frange, che ritiene isolate. Due mesi più tardi Prats è costretto alle dimissioni (verrà poi ucciso nel 1974 a Buenos Aires dalla polizia segreta cilena): è il generale Augusto Pinochet a prendere il suo posto.
L'11 settembre 1973 Pinochet guida un colpo di stato congiunto di tutte le forze armate cilene. Allende, assediato all'interno del palazzo di governo, la Moneda, lancia un appello ai lavoratori cileni tramite Radio Magallanes, e chiede che tutti si rechino al lavoro, nel tentativo di “normalizzare” il golpe: è ancora convinto che nel colpo di stato non sia coinvolto l'intero esercito, ma solo la Marina Militare. Poche ore dopo, la Moneda viene bombardata. Salvador Allende si suicida nel suo studio con una scarica del mitra che gli era stato personalmente donato da Fidel Castro.
Nel primo mese di dittatura militare guidata da Augusto Pinochet, vengono arrestati 40.000 oppositori politici, detenuti nello Stadio Nazionale Cileno (oggi Stadio Victor Jara). Altre 130.000 persone sono arrestate solo nei successivi tre anni, senza contare le migliaia di cileni costretti all'esilio. Secondo l'ultima commissione governativa (2011) le vittime della dittatura sono state 40.018 (di cui circa 38.000 desaparecidos), e 600.000 gli arresti.
Il 23 settembre 1973 Pablo Neruda muore in ospedale, a causa di un cancro. Il suo funerale è uno dei primi momenti di opposizione alla dittatura: nonostante l'esplicito divieto di Pinochet, che aveva personalmente ordinato di devastare e saccheggiare le case del poeta, migliaia di persone accompagnano il corteo funebre.

La dittatura di Augusto Pinochet durerà 17 anni. Costretto dalle pressioni internazionali a normalizzare la situazione cilena, nel 1988 il generale indice un plebiscito: la vittoria del “NO” porta alle prime elezioni democratiche dal 1970. Il 14 dicembre 1989 il candidato democristiano Patricio Aylwin diventa Presidente del Cile. Grazie alla Costituzione che lui stesso aveva redatto, Pinochet rimane Comandante in capo delle Forze Armate fino al 1998, quando diviene senatore a vita. Nell'ottobre dello stesso anno, il giudice spagnolo Baltasar Garzòn emette contro di lui un mandato di arresto per crimini contro l'umanità: Pinochet trascorre diversi mesi agli arresti domiciliari a Londra, prima di poter fare ritorno in Cile, dove lo status di “infermità mentale” gli permette di non essere mai processato, nonostante i numerosi mandati di arresto emessi nei suoi confronti.
Pinochet muore il 10 dicembre 2006 a Santiago del Cile, all'età di 93 anni. La Presidente della Repubblica Michelle Bachelet, socialista, non concede i funerali di stato, ma non ha modo di impedire le esequie militari, che si svolgono alla presenza di sessantamila nostalgici del regime.
IL CILE IN ITALIA
La sinistra extraparlamentare si trova improvvisamente unita: la forza e la brutalità del golpe in Cile, lo spezzarsi di un esperimento di democrazia socialista che aveva finalmente unito le sinistre in un unico fronte popolare, provocano una reazione compatta di sgomento e protesta.
Allende assassinato - l'ipotesi del suicidio sembra una delle tante false voci diffuse dalla stampa di destra al soldo della giunta militare e degli americani -, il numero di morti, arrestati e confinati che aumenta di giorno in giorno, gli italiani (Paolo Hutter, primo tra tutti) di cui non si ha più notizia, la parola “compagno” messa al bando (“Fuori legge la parola: compagno. Serve a ricordarci che cosa vuol dire essere compagni”, titolaLotta Continua il 21 settembre 1973). E poi, contemporaneamente, la fiducia nella lotta armata che trionferà (“Cresce la resistenza armata del popolo cileno che tiene in scacco da quattro giorni i generali fascisti e i loro servi democristiani”, il manifesto, 15 settembre 1973) e il sostegno attivo a quella stessa lotta: la campagna “Armi per il MIR” arriverà a raccogliere 63 milioni di lire in 27 giorni.
Non è solo la politica a mobilitarsi: il governo di Unidad Popular è stato anche - e forse soprattutto - un esperimento culturale, e gli artisti italiani diventano portavoce della solidarietà attiva al popolo cileno. Così, a due mesi dal golpe, uno spettacolo popolare in “sostegno alla lotta armata del popolo cileno” vede annunciata la partecipazione di Lucio Dalla, Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, Lisette Miller (“la cantante cilena”), Chicca de Negri e, scritti in piccolo, Giorgio Gaber, Enzo del Re e Giorgio Gaslini. L'evento è proposto dal collettivo teatrale “la comune”, che fa idealmente capo a Dario Fo, ma le adesioni sono unitarie (Avanguardia Operaia, m.l. Viva il comunismo, IV internazionale, Lotta Continua, c.d. Tricontinental, c.d. Cinema Lotta di classe, Editrice Savelli).
Dall'altra parte, si mobilita anche la politica istituzionale: il governo italiano non riconosce la giunta militare cilena, e l'ambasciata italiana a Santiago offre attivamente rifugio e vie di fuga ai perseguitati politici. Sandro Pertini, all'epoca Presidente della Camera, apre i lavori con un commosso omaggio ad Allende, accostando la sua figura a quelle di Matteotti, don Minzoni e Amendola – un invito non troppo velato a perseguire ancora una volta l'unità delle sinistre, compresa la sinistra democristiana. Su “Rinascita” escono intanto i tre famosi articoli di Berlinguer Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile, con la definitiva teorizzazione del compromesso storico. Contemporaneamente, sotto l'egida del PCI nascono l'associazione “Italia-Cile” e il comitato “Chile democratico”, gli Inti Illimani – rimasti in Italia, dove si trovavano al momento del golpe – sono continuamente invitati alle Feste dell'Unità e i muri delle sezioni si riempiono di murales sullo stile della Brigada Ramona Parra.
Ma la “lezione cilena” non è per tutti la stessa: la sinistra extraparlamentare vede nel golpe il fallimento di un grande tentativo democratico, e un invito alla vigilanza armata. PCI e PSI vedono invece legittimato il forte richiamo all'unità delle forze antifasciste per ostacolare i tentativi eversivi dell'estrema destra – che, d'altra parte, si schiera massicciamente in favore di Pinochet, collaborando anche attivamente a un attentato in Italia ai danni di Bernardo Leighton, esule cileno -.
Il colpo di stato in Cile occuperà per settimane la prima pagina dei principali quotidiani della sinistra, da “Rinascita” a “il manifesto”, passando per “Lotta Continua”. Le manifestazioni si susseguiranno, dopo la forte mobilitazione iniziale, a uno, due, dieci anni dal golpe, sempre con massiccia partecipazione. Forti aiuti verranno dall'Italia, in termini politici ed economici, anche per la campagna referendaria del NO, che porrà fine alla giunta militare e permetterà l'avvio di un nuovo tentativo democratico cileno.
Rimangono tuttora aperte profonde ferite, soprattutto per ciò che concerne le vittime del golpe e le famiglie dei desaparecidos.

LA MOSTRA
(a cura di Paola De Ferrari e Virginia Niri per l'Associazione per un Archivio dei Movimenti)

Il materiale esposto - fotografie, manifesti, volantini, quotidiani, video - tratto dall’Archivio dei movimenti ( www.archiviomovimenti.org ) e  dai fondi documentari del Centro ligure di storia sociale, documenta le grandi manifestazioni di solidarietà e il dibattito politico della sinistra  italiana successivi al golpe dell’11 settembre 1971. Il percorso segue un doppio binario, analizzando non solo l'indignazione per il colpo di stato del generale Pinochet e la partecipazione compatta alla resistenza del popolo cileno - partecipazione non solo teorica: si ricordi l'imponente campagna di raccolta fondi promossa da Lotta Continua "Armi per il MIR" -, ma anche gli effetti che la situazione cilena provoca sulla politica italiana, a partire dai tre articoli con cui il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, su Rinascita, mette in relazione il golpe con la scelta del compromesso storico. Attraverso la mostra, che comprende materiale filmato dell’epoca e contemporaneo, si dipinge il ritratto di un anno cruciale, tra solidarietà militante, paure e proposte.

Credits
Foto di Piero Pastorino, Adriano Silingardi e Pietro Tarallo
Si ringrazia il Centro Ligure di Storia Sociale per il prestito di documenti e la Fondazione Palazzo Ducale per gli spazi messi a disposizione
Contributi video a cura di: GhettUP tv, Bruno Rolleri, Elena Rusca, Adriano Silingardi.
Un ringraziamento particolare a Dagmar Thomann e Ale Visentin
Installazione: Gianfranco Pangrazio, Sandro Ricaldone, Adriano Silingardi e Francesca Dagnino
La "Funa di Victor Jara" è stata presa dal canale youtube di Ruben Cabañas







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